The Great Reset: un libro per tutti e per nessuno

“Ci dominate per il nostro bene” disse con un filo di voce. “Credete che gli esseri umani non siano adatti a governarsi da soli, perciò…”

-George Orwell, 1984

Si può dire, in fondo, che il motto del liberalismo sia “vivere pericolosamente”. Vale a dire che gli individui sono messi continuamente in stato di pericolo o, meglio, che sono posti nella condizione di esperire la loro situazione, la loro vita, il loro presente, il loro avvenire, ecc., come fattori di pericolo… Si pensi, ad esempio, alla campagna sulle casse di risparmio dell’inizio del XIX secolo, alla comparsa della letteratura poliziesca e dell’interesse giornalistico per il crimine a partire dalla metà del XIX secolo, si pensi a tutte le campagne riguardanti la malattia e l’igiene, si consideri tutto ciò che accade intorno alla sessualità e alla paura delle degenerazione: degenerazione dell’individuo, della famiglia, della razza, della specie umana; insomma dappertutto si può vedere questa stimolazione del timore del pericolo, che è in qualche modo la condizione, il correlativo – psicologico, culturale, interno – del liberalismo. Niente liberalismo senza cultura del pericolo… Libertà economica, liberalismo nel senso che ho appena detto, e tecniche disciplinari sono strettamente connesse

-Michel Foucault, La questione del liberalismo

E poi bisognerebbe riflettere su quelli che, incapaci (a loro merito) di stare nell’ossessivo discorso maggioritario, ma drasticamente privi di strumenti critici, sono caduti (a loro rischio) in alter-narrazioni tossiche. Non sorprende, d’altronde, che dopo decenni di banalizzazione della lingua, di colonizzazione dell’immaginario e di guerra alla complessità, le più sciape storie dell’orrore possano suonare credibili. Da un certo punto di vista, questi nuovi “credenti” rappresentano una catastrofe e una fatica di Sisifo per chi, oltre a non stare nella narrazione maggioritaria, deve poi anche smarcarsi da questa galassia. Ma c’è qualcosa che va osservato e, se possibile, contattato: la qualità umana di chi trova così atroce quel che va accadendo, da ipotizzare che possa esser giustificato solo da qualcosa di altrettanto atroce

-Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni, Come siamo arrivati fin qui? Il contagio di un’idea di salute

Di fronte a tutto questo, non c’era da stupirsi che nascessero fantasie di complotto. C’era da stupirsi che non ne nascessero anche di più

-Wu Ming 1, La Q di Qomplotto. Qanon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema

The Great Reset: un libro per tutti e per nessuno

Si è fatto un gran parlare, da qualche tempo a questa parte, di un testo dal titolo The Great Reset, apparso principalmente sul web (comunque anche disponibile in versione cartacea, per i temerari che volessero procurarselo). Il libro, che – come si intuisce dal titolo – vorrebbe proporre suggerimenti per un reset del mondo, dopo la cosiddetta pandemia, è disponibile qui, only in english ovviamente, come la maggior parte di questo tipo di testi – cosa che pone già un limite alla possibile utenza.

Le reazioni a questa pubblicazione sono state, come immaginabile, le più varie: dal grido di allarme di chi ci leggeva una sorta di manuale di istruzioni per l’istituzione di una società post-covid “iper-orwelliana”,1 a chi ne tesse gli elogi, trovandolo equilibrato e foriero di valide proposte per un futuro “sostenibile” – per usare una delle parole magiche del momento.2

Ma come nasce questo testo, chi l’ha scritto, quando e perché? Cosa dice nel dettaglio?3

Per rispondere a queste domande, e visto che spesso se ne parla solo per sentito dire, ci siamo presi la briga di leggerlo, e abbiamo pensato di riportare in queste poche pagine una sintesi dei punti salienti, più alcune nostre ovviamente non vincolanti impressioni. Premetto che la “sintesi” non sarà brevissima come inizialmente sperato, per cui pregherei il coraggioso lettore o la coraggiosa lettrice, che vorranno avventurarsi nella lettura, di armarsi di un po’ di pazienza.

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Lettera ai “compagni”

È da tanto che ci penso a scrivere questa lettera e credo che sia ormai giunto il momento, perché sono stufa e sto bollendo di rabbia. Tanto so che non ve ne fregherà una mazza di quello che scrivo io, ed è anche giusto così, ma serve a me perché non ce la faccio più a tenermi tutto dentro.

Mi dispiace dirvelo, ma voi siete fuori dalla storia, siete destinati a finire nel nulla, a dissolvervi nel vuoto assoluto. Il mondo sta andando da una parte e voi neanche lo guardate passare, vi girate direttamente dall’altra parte, spettatori indifferenti di un film dell’orrore che in verità non è un film ma la cruda realtà. Indifferenza disarmante, e per questo sarete giudicati, voi che vi riempite tanto la bocca di frasi fatte, balbettìo da televisione che suona ormai come banale retorica non dissimile da quella della sinistra democratica che governa insieme a lega e compagnia bella.

Voi che avete appoggiato, fin dall’inizio, questi governi di criminali, anzi, menomale che non c’eravate voi al potere, sennò a quest’ora eravamo finiti tutti nei gulag. E li avete appoggiati perché hanno a cuore la nostra salute!! Ma cos’è una barzelletta del Vernacoliere? Siete usciti tutti ora dal Bubbocine? Hanno a cuore la nostra salute? Ma avete presente di chi si sta parlando?

Avete approvato questa deresponsabilizzazione assoluta dello Stato, facendo ricadere solo sui cittadini la responsabilità dell’andamento pandemico e della crisi sanitaria, frutto di anni e anni di tagli scellerati.

Avete incentivato lo spirito del questurino, del controllore, di ogni cittadino “per bene”, notoriamente un grande altruista che si è scoperto improvvisamente altruista e solidale, difensore indefesso dei nonni, che fino a un giorno prima ha rinchiuso nelle RSA levandoseli da tre passi (e gli è andata anche bene sennò li buttavano direttamente nell’inceneritore).

Avete applaudito gli elicotteri che sorvolavano i nostri cieli in cerca dell’untore che andava a fare una corsetta lungomare o una passeggiata nel bosco e invocato l’esercito per strada per farci rigare tutti dritti.

Avete approvato il coprifuoco, una parola che solo a pronunciarla dovrebbe far venire la pelle d’oca!

Avete accettato il lockdown come una misura oculata dando per scontato che fosse una risposta “scientifica” ed efficace per il contenimento del contagio.

Avete accettato un linguaggio di guerra e non vi siete scandalizzati quando un De Luca qualsiasi ha parlato di napalm come soluzione finale contro i cosiddetti no vax.

Tutto questo è stato accettato senza mettere nulla in discussione, nemmeno un momento di riflessione critica, un dubbio, un interrogativo…

E possiamo andare avanti.

Vi è sembrato normale che i lavoratori fossero ricattati, anzi, vi sembra normale che uno stato ricatti i suoi cittadini.

Vi è sembrato giusto lo stillicidio di sospensioni dal lavoro dei sanitari.

Vi è sembrato giusta poi l’introduzione del green pass come misura sanitaria di contenimento a dir poco fantasiosa, perché non c’è bisogno di essere uno scienziato per capire che non ha niente di “sanitario”, in quanto fuori da ogni logica. Qual è la logica se io con green pass da tampone sono sicura di non contagiare nessuno mentre gli altri (vaccinati) possono portare a giro il virus quando e come gli pare?

E terminiamo con la notizia fresca: immagino abbiate applaudito quanto approvato dal consiglio dei ministri proprio pochi giorni fa: il decreto del Super green pass (già questo nome è da non credere, potevano chiamarlo anche Mastro Lindo già che c’erano) che introduce l’obbligo di vaccino per tutti i dipendenti pubblici (perché siamo più pericolosi degli altri o perché non produciamo un cazzo e quindi ci possono anche sterminare?). Gli altri lavoratori invece possono tranquillamente continuare a svolgere la loro funzione di schiavi sottopagati ma, giustamente, per farlo devono anche comprarsi il lasciapassare per produrre quella merda che consumate anche voi! Ma ci sarebbe da riversarsi a fiumi in piazza! Questa è follia!

Bene, avete deciso a priori da che parte stare, senza cercare di capire le ragioni di coloro che si pongono in una posizione critica, senza cercare di capire le ragioni di una protesta (con tutti i suoi limiti e contraddizioni di cui sono ben cosciente) che si ingrossa ogni giorno e che raccoglie tanti malumori che vengono da lontano, un malessere molto più profondo di quanto voi possiate immaginare perché siete legati alle vostre stupide certezze che vi rendono incapaci di leggere il presente. Non riuscite a capire che queste proteste sono espressione della consapevolezza che questa società, la società capitalista, è invivibile e disumana. Wu Ming parla appunto di “nuclei di verità” che sono presenti in tutti i cospirazionismi, complottismi e compagnia bella che proliferano ultimamente. Il fatto che poi da certe premesse si finisca per dare una spiegazione a dir poco fantasiosa della mostruosità del mondo in cui viviamo, invece di sviluppare “una coscienza coerentemente anticapitalista”, non rende quelle premesse, quei “nuclei di verità”, meno veri.

E vorrei concludere sempre citando proprio Wu Ming:

“I nuclei di verità sono premesse generali, intuizioni monche, malcontenti vaghi, collere poco o per niente elaborate, mali di vivere nella società capitalistica […] Sono nuclei da cui in passato si sono sviluppati nobili filoni di critica alla medicina capitalistica, da Ivan Illich ai coniugi Basaglia, da Michel Foucault all’SPK tedesco, da F. Guattari agli antipsichiatri britannici.

Subordinazione della salute alla ricerca del profitto, rapporto morboso tra medicina e mercato, dipendenza della ricerca medico-farmaceutica da imprese ad alta concentrazione di capitale, crescente burocratizzazione e spersonalizzazione della cura, sfiducia nell’industria sanitaria dopo una lunga sfilza di scandali. Sono o sarebbero tutti temi nostri, sui quali si esprime un malcontento che non intercetteremo mai, e di conseguenza non porteremo mai in direzioni più sensate e feconde, se ci rifiutiamo di vederlo e trattiamo chi lo esprime soltanto come un nemico. Così facendo ci riduciamo a gatekeeper del sistema, difensori dello status quo. E lasciamo campo libero a mestatori e fascisti”. *

E di questo vi ringrazieremo in eterno

Un ringraziamento di cuore invece lo voglio fare davvero: a quelle compagne e compagni veri, sanitari/e, colleghi e colleghe di scuola, che resistono, perché non è facile. Voi neanche avete la minima idea di cosa stiamo passando (e alla fine non ve ne importa un bel nulla), siamo attaccati, braccati, trattati di tutto un po’, in attesa di essere buttati fuori dal lavoro come stracci vecchi con nessun sindacato di merda che ci difende. Ma resistiamo e ne sono orgogliosa, tutti ne dobbiamo essere orgogliosi. Mi sono sfogata anche per loro e li abbraccio forte.

Noi siamo la resistenza, voi non siete i miei compagni.

Sonia Bibbolino

—–

* Intervista a Wu Ming, pp.10-11. Reperibile qui, scaricabile in pdf qui

Narrazioni tossiche

Narrazioni tossiche

Quali sono?
Tutte quelle narrazioni che stanno invadendo le nostre menti in questo contesto storico, quelle narrazioni univoche che convergono verso un pensiero unico, senza contradditorio o, meglio, senza possibilità di dialogo.
Vuoi la ‘pandemia’, vuoi i tamponi, vuoi il ‘green pass’ … e per ultimo, ma non meno importante e/o impattante, c’è il vaccino.

Con l’ultimo che ho detto… ahimè, c’è una pubblicità talmente vivace (ingannevole) che ci propina in continuazione, nella televisione di Stato, l’immagine di atleti, artisti ed altri personaggi noti, in un bombardamento di inviti con la “V” digitata con la mano. Per “V” mi piacerebbe riferirmi alla parola “volontario”, ma così non è.

Di volontario ormai non c’è più niente, esistono e persistono solo obblighi.
Siamo arrivati alla “V”, dopo di essa ci rimane solo la lettera “Z” … cioè zitti e ubbidienti …
Così non siamo. Un gruppo numeroso e rumoroso di umani ha ancora la mente vivace, pronta, e crede assolutamente alla libertà di pensiero e all’applicazione della Costituzione.

Io appartengo gioiosamente a questa fetta di umanità resistente e competente.
Non ascolto le narrazioni tossiche da sempre, non accetto imposizioni che minano la mia e l’altrui salute fisica e mentale, resto umana, con la terz’ultima delle lettere dell’alfabeto.

“Restiamo umani”, lo diceva Vittorio, lo ha insegnato Vittorio.
Arrigoni è nella prima lettera dell’alfabeto, è nel suo cognome.
Resterà sempre il primo.

Impariamo a leggere prima di farci inoculare veleni tossici nel nostro corpo,impariamo a difenderci dalle narrazioni tossiche, utilizziamo le nostre teste pensanti, non quelle dei governanti collusi con le società farmaceutiche.
Il virus è nelle loro menti, noi siamo cavie nelle loro dittature sanitarie.

Non in mio nome.
Non in nome di coloro che credono nella Costituzione.
Nei diritti di scelta di Vita.
La paura ha ribaltato i nostri contenuti, restiamo umani, torniamo ad essere umani.

Salute a tutte e tutti

Renata Fontanella

Controllo, paura, violenza: da Genova 2001 all’emergenza Covid

Con l’emergenza Covid sono emerse allo scoperto diverse forme di disciplinamento sociale che in precedenza erano soltanto latenti. Vorrei proporre qui una sorta di résumé di tutti i provvedimenti che, ufficialmente, sono stati avviati per preservare la salute pubblica ma che, in realtà, appaiono come subdole forme di controllo sociale destinate a sopravvivere negli interstizi della società. Queste forme di controllo sono state imposte alla società con il ricatto della paura: se non si adottano, si può morire. Ed ecco che, di fronte alla paura di una malattia spacciata come inesorabilmente mortale, tutti hanno chinato la testa, compresa la sinistra più radicale. Ma forse i ‘compagni’ non si sono resi conto che queste forme di controllo sono soltanto la prosecuzione con altri mezzi di un violento disciplinamento sociale iniziato già, probabilmente, con la manifestazione di forza dello Stato emersa durante il G8 di Genova 2001. In questo periodo ricorre il ventennale di quei tragici avvenimenti: allora si trattava di disciplinare militarmente solo una frangia di ‘violenti’ e ‘estremisti’ che manifestavano contro le iniquità del sistema capitalistico; adesso, quello stesso sistema capitalistico, lungi dall’essere messo in ginocchio dall’avvento del virus, ha manipolato il virus a sua immagine e somiglianza. Lo ha reso funzionale ai suoi interessi; lo ha reso come l’evento clou di un disciplinamento ‘spettacolare’ già iniziato decenni prima. Perché il controllo si è esteso e allargato sotto varie forme, non ultime quella mediatica e spettacolare. Il Capitale è arrivato a imporre, per mezzo dei media, un discorso dominante: quello, appunto, della pericolosità assoluta del virus. Allora, se si osava e si osa mettere in discussione questa pericolosità, si diviene dei criminali, dei ‘negazionisti’, come chi nega l’Olocausto. Ora, tutti si sono piegati all’uso di questa parola: solo io credo che, invece, questo termine appaia mostruosamente improprio dal momento che si riferisce, solitamente, a eventi di una ben più tragica portata? Come si può chiamare nello stesso modo chi non crede alla estrema pericolosità del virus e chi afferma che l’Olocausto non sia mai avvenuto? Giudicate voi. Quell’“immensa accumulazione di spettacoli”, come diceva Debord, si è appropriata di tutte le nostre vite fino alla più minuscola particella.

Chiamatemi pure ‘negazionista’, se vi fa piacere, ma adesso voglio elencarvi e descrivervi tutte le nuove e subdole forme di disciplinamento sociale che, da anni, appunto, subdolamente, ci accompagnano: il lockdown; la digitalizzazione dell’esistenza, incluse le pratiche di smart working e di DAD; la vita degli individui controllata dai numeri; la chiusura di musei, cinema, teatri; il coprifuoco, i controlli polizieschi, l’uso dei droni e degli elicotteri per controllare la popolazione; l’autocertificazione; la regolamentazione degli spazi e la mascherina all’aperto; il vaccino.

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Pfizer o Astrazeneca? Pronto o Dixan? Peste o colera? Il vaccino nella società dei consumi

“Ai più deboli è concesso rispondere ai potenti, e ha la meglio chi è realmente nel giusto. Questo vuol dire essere liberi”

Euripide – Le supplici

 

“La democrazia è il contrario della libertà”

Gruppo Krisis – Manifesto contro il lavoro

 

Il principale dilemma dei consumatori del benessere e della salute, al giorno d’oggi, è “Pfizer o Astrazeneca?”. Questo dilemma si inserisce pienamente all’interno di una società dei consumi ormai dominata dal capitalismo digitale e ha lo stesso valore di quello che investe il consumatore di fronte agli oggetti da acquistare, dai telefoni cellulari fino alle automobili: “Samsung o Huawey?, “Volkswagen o Toyota?”. Il tutto avviene all’interno di uno spazio sociale dominato da una sempre più pervasiva ‘democrazia’, improntata su una libertà che appare solo illusoria. Le alternative presenti nel titolo di questo intervento, “Pronto o Dixan”, “peste o colera” compaiono nel Manifesto contro il lavoro (1999, tradotto in italiano nel 2003) del Gruppo Krisis, in un passo in cui gli studiosi riflettono sul valore di democrazia al giorno d’oggi: “Infatti in democrazia tutto è trattabile, tranne i vincoli della società del lavoro, che invece sono presupposti come un assioma. Ciò di cui si può discutere sono soltanto le modalità e le forme che questi vincoli assumono. C’è sempre e soltanto la scelta tra Pronto e Dixan, tra peste e colera, tra volgarità e stupidità, tra Kohl e Schröder, tra D’Alema e Berlusconi”.1 Se i riferimenti politici appaiono datati (si parla infatti di personaggi politici della fine degli anni Novanta), sicuramente non lo sono quelli al sistema-democrazia. All’interno di esso ci sono alcuni vincoli che non sono trattabili, come quelli della “società del lavoro”, sui quali si concentra principalmente l’analisi del Manifesto. Il lavoro, all’interno del “più perfido sistema di dominio della storia”2 (cioè la democrazia della “società del lavoro”), non può certo essere messo in discussione. Insomma, non vi sono libere scelte, in definitiva, ma solo la scelta del ‘meno peggio’ fra ciò che offre il sistema-democrazia. Anche fra gli oggetti di ‘benessere’ non ci può essere una libera scelta, e neppure fra quelli che dovrebbero preservare la salute. Tertium non datur: o vaccino o vaccino.

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In morte di Fares. Una piccola storia ignobile

“-I livornesi chiedono più sicurezza più controlli poi se un tunisino scappa e affoga nei fossi fanno le manifestazioni. Se era in regola non sarebbe scappato….
-Era già conosciuto alle forze dell’ordine e qui dice tutto…
-Perché stava scappando? Forse aveva qualche problema? Se hai la coscienza pulita non scappi ma affronti.
-Ma che vergogna, questi fino a ieri vivevano nel deserto e mangiavano sabbia, oggi comandano a casa nostra… Che schifo
-A casa vostra e chi vi appoggia con voi
-Ieri mattina nella zona mia c’è ne era uno alle 8 di mattina di domenica che suonava tutti i campanelli”

commenti su Facebook – 25/04/21

“Dei proletari non si può avere alcun timore. Lasciati a se stessi, continueranno di generazione in generazione e di secolo in secolo a lavorare, a riprodursi e a morire, non solo senza alcun istinto alla rivolta, ma anche senza la capacità di comprendere che il mondo potrebbe essere diverso da come è… Del tutto irrilevante è stabilire che cosa pensino o non pensino le masse. Abbiano pure tutta la libertà intellettuale: tanto, sono prive d’intelletto.”

George Orwell – 1984

“Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare
Così solita e banale come tante
Che non merita nemmeno due colonne su un giornale
O una musica o parole un po’ rimate…”

Francesco Guccini – Piccola storia ignobile

 

il 24 aprile a Livorno è successo un fatto increscioso quanto grave. Un giovane tunisino di 25 anni, Fares Shgater, muore affogato la sera, dopo il famigerato “coprifuoco”, cadendo nei fossi (il canale che attraversa la città) durante un inseguimento da parte delle forze dell’ordine. Sulle modalità della caduta, il perché il come e quant’altro, vige la più profonda oscurità. Le indagini sono in corso, e non dubitiamo che si risolveranno in un nulla di fatto. Ma non è questo il punto. Non intendiamo qui solo alludere a possibili interventi poco ortodossi delle stesse forze dell’ordine, copiose in quel frangente (erano presenti polizia, carabinieri, vigili urbani ed esercito, a quanto ci è dato sapere). Quello che vogliamo qui sottolineare, è la condizione di “braccato” la quale ha fatto sì che la storia avesse questo tragico epilogo. L’atmosfera pesante, di fatto razzista e classista (come dimostrano le citazioni, poche e scelte a caso fra moltissime prese dai commenti su facebook alla tragedia) che caratterizza la città di Livorno, ma certo non solo quella, lo sguardo sempre torvo verso il diverso che occupa i “nostri spazi vitali” (per usare un linguaggio di altri tempi ma efficace per capire la dimensione in cui viviamo), il clima di “guerra fra poveri” che contraddistingue i periodi di forte crisi come questi, tutto ciò ha contribuito a far sì che la vicenda avesse il terribile esito che ha avuto.
Una piccola storia ignobile, per riprendere la citazione dalla famosa canzone di Guccini, citata in esergo. Tanto ignobile che non ha avuto nemmeno l’onore della menzione su una locandina del famoso quotidiano cittadino, solitamente prodigo di titoli in grassetto quando ci sono eventi succulenti di cronaca nera da buttare in pasto al gossip cittadino.
A noi resta solo il dolore per questo ragazzo, che non crederemo mai meritevole di una fine tanto dura e cattiva. A lui vogliamo dedicare questa bella lettera che ci invia Renata Fontanella, una donna il cui cuore racconta meglio di milioni di stupidi commenti su Facebook il dolore di una vita difficile e la voglia di credere che ci sia ancora una speranza per tutti noi.

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La paura, i “nemici interni” e la mascherina all’aperto

“E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse, e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura, e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano; era con sì fatto spavento questa tribolazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava, e il zio il nipote, e la sorella il fratello, e spesse volte la donna il suo marito; e, che maggior cosa è e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano”.

Giovanni Boccaccio, Decameron, I

Le riflessioni che svolgerò qui sotto nascono da una premessa teorica molto semplice: l’idea che portare la mascherina all’aperto, in qualsiasi luogo e situazione, sia una grande idiozia. Contrariamente che nei luoghi chiusi, negli spazi aperti è assolutamente improbabile che venga trasmesso un virus influenzale. Ma andiamo a leggere cosa prevede il DPCM del 3 dicembre 2020, l’ennesimo di una sfilza di decreti surreali e contraddittori, in merito all’uso delle mascherine:

«Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, nonché obbligo di indossarli nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio previsti per le attività economiche, produttive, amministrative e sociali, nonché delle linee guida per il consumo di cibi e bevande».

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Il discorso dominante del vaccino

“Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive
-Giacomo Leopardi, La Ginestra o il fiore del deserto

“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”
-Dante, Inferno, III, 51

Come il virus, anche il vaccino si è incagliato nella mentalità collettiva sotto forma di discorso dominante. Come il virus è pericolosissimo e estremamente letale per tutti, nessuno escluso, così il vaccino è sicuro per tutti, è l’unica ancora di salvezza nella terribile tempesta scatenata dal Covid 19. Il vaccino si è trasformato in una entità sovrana e perfetta, tanto da assumere alcune caratteristiche divine. Del resto, non c’è da stupirsi, siamo in Italia (che prosegue ottusamente nella campagna vaccinale nonostante siano stati sollevati diversi dubbi in molti paesi europei), un paese saldamente ancorato a un arcaico cattolicesimo ma anche a una diffusa fede per qualsiasi forma di religione e divinità, dal buddismo al Mago Otelma. Lo si poteva prevedere fin dalla fine di dicembre scorso, quando l’arrivo delle prime dosi era stato accolto all’aeroporto come un capo di Stato e scortato da polizia e mezzi militari, quasi si trattasse della Sacra Sindone o del simulacro di una qualche divinità. Re Vaccino I ha fatto così il suo ingresso in Italia.

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Le due facce della salute: quando il lockdown uccide per il nostro bene

In un film del 2009, Dogtooth, uscito nelle sale italiane soltanto tra fine estate e inizio autunno scorsi, poco prima che chiudessero i cinema, il regista greco Yorgos Lanthimos mostra come il controllo a fin di bene possa generare dei veri e propri mostri. In una villa isolata, con un ampio giardino, una ricca famiglia tiene segregati in casa dalla nascita i tre figli adolescenti, un maschio e due femmine, per non farli contaminare dal mondo esterno. Per il loro bene, i tre giovani non devono sapere niente di ciò che c’è al di fuori dei muri della villa perché si tratta di un mondo terribile e dominato dalla violenza. Come nel mito della caverna di Platone, i ragazzi percepiscono solo ombre confuse della realtà, in una situazione di segregazione in cui i genitori stravolgono, a loro uso e consumo, quasi orwellianamente, perfino il significato delle parole. Ad esempio, viene spiegato ai figli che “il mare è una poltrona di pelle”; “l’autostrada è un vento molto forte”; “una carabina è un bellissimo uccello bianco”. Se i figli osano ribellarsi alla macchina del controllo e della segregazione costruita dai genitori solo per il loro bene, vengono sottoposti a violente punizioni e torture fisiche e psicologiche. Il microcosmo della villa si trasforma perciò nella ossessiva metafora di un controllo pervasivo e dittatoriale. Del resto, lo stesso Lanthimos ci offrirà con The Lobster (2015) uno stupendo affresco di una distopica società del futuro, dominata da un’oscura dittatura che impone lo status sociale della coppia.

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The Magnificent Thirty

Nel dicembre 2020 è uscito un testo decisamente interessante per le sorti del mondo sottoposto alla pressione “Covid”. Si tratta di Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid [it: Rilanciare e ristrutturare il settore aziendale post-covid], una pubblicazione proveniente dal cosiddetto “gruppo dei 30”, che ha come significativo sottotitolo Designing Public Intervention [it: Progettare interventi di politica pubblica].

Per capire di cosa parla questo agile (ma forse non troppo) libercolo, può essere utile leggere il comunicato stampa e il relativo abstract, che funge anche da presentazione, che qui traduciamo e che sono comunque reperibili on line rispettivamente, nell’originaria lingua inglese, qui e qui.

Ma, prima ancora, è forse il caso di dire due parole su questo famoso “gruppo dei 30”. Questo gruppo raccoglie trenta fra i più eminenti economisti e politici (molti uomini e, come sempre, poche donne) del globo. Il loro scopo, considerando l’esperienza e la profonda conoscenza del mondo politico ed economico ad essi riconosciuta, consiste prevalentemente nell’analizzare a fondo lo status quo e redigere documenti attraverso i quali consigliare per il meglio i potenti di turno sul da farsi affinché il sistema possa godere di buona salute, o almeno della migliore possibile. Niente di misterioso od esoterico, dunque. Si possono raccogliere moltissime informazioni su di loro con un semplice tour sul web, e i loro documenti sono facilmente reperibili e scaricabili on line qui (tutti rigorosamente in english, naturalmente). Ma la loro pericolosità non consiste certo in un presunto agire nell’ombra, ma proprio nella loro “normalità”, ovvero in ciò che predicano adempiendo alle funzioni di “guardiani” e “counselor” del sistema. Detto di passata, può interessare la nostra italica curiosità il fatto che uno dei più prestigiosi ed attivi fra i componenti di questo notevole gruppo sia il più amato fra i presidenti, ovvero il nostro Mario Draghi, il quale ha addirittura l’onore di rivestire la carica di membro senior.

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