Dentro la bolla

Pubblichiamo questa lettera/testimonianza di Renata Fontanella. Renata, come molti ultimamente, ha dovuto subire il calvario del covid, sia fisicamente che moralmente. Non essendo vaccinata, chiunque infatti si può sentire in diritto di rimproverare le persone come lei addebitando loro le colpe praticamente di tutto (meccanismo purtroppo tragicamente noto, questo, nella storia dell’umanità), abdicando di fatto ad ogni spirito critico e capacità di ragionamento autonoma. Tutto quello di strano e non spiegato che sta dietro la vicenda “covid” viene cancellato con un colpo di spugna, ogni possibilità di cura diversa dalla vaccinazione di massa irrisa e dichiarata aprioristicamente inefficace, ogni pensiero che sollevi anche solo una perplessità, demonizzato e crocifisso all’istante, e chi dubita definito immediatamente con qualche appellativo infamante. Non è il caso di entrare nel dettaglio, di provare qui a capire per esempio se la vaccinazione diffusa sia consigliabile durante le epidemie, oppure non sia essa stessa un’arma a doppio taglio (così come il famoso “green pass”), che favorirebbe l’emergere delle varianti, come sostiene una certa scolastica epidemiologica,1 oppure se i problemi di “affollamento” degli ospedali dipendano dalla “stolidità” dei cosiddetti “no vax”, o dai feroci tagli alla sanità pubblica fatti negli ultimi decenni da tutti i governi, centro-sinistra o -destra che fossero, o se gente come Brunetta o Draghi possa insegnarci qualcosa e farci persino la morale, infine quale sia la scienza “buona” e quella “cattiva”, e soprattutto chi decida questo gioco delle parti e in che direzione. Tutte domande ed osservazioni che lasciamo qui in sospeso ma che dovrebbero, speriamo e crediamo, occupare molto spazio di riflessione nel prossimo futuro.
Buona lettura

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Accade che un giorno, mentre stai programmando il tuo tempo, quel tempo si debba fermare.
In casa tua c’è un positivo al covid.
Da quel momento entri dentro quella bolla che ti isolerà per un lungo periodo dai contatti umani.
Il medico di base ti consiglia un tampone dal quale risulti ancora negativa.
Però stai male.
Ancora il medico ti fornisce assistenza al telefono, ti consiglia antinfiammatori, antibiotico,
vitamine…
Non è possibile una visita domiciliare, sei “dentro la bolla”, puoi infettare, puoi trasmettere il virus…
La notte successiva ti senti male, vomito, febbre, non sai cosa fare.
La persona che convive con te, tuo marito, sta anche peggio.
Ricontatti il medico.
Tramite lui vieni contattata dal personale Usca.
“Signora come sta?”
“Molto male, vomito continuo.”
“ Se ha la patente vada in auto a fare un tampone”
“Come? – domando io – Ma se non mi reggo in piedi come faccio?”
A quel punto i familiari contattano una ambulanza che mi porta al pronto soccorso covid.
La stessa soluzione anche per mio marito.
Troviamo personale preparato, fanno le analisi tempestivamente.
Positiva al covid.
Per accompagnarmi ad eseguire la tac polmonare chiamano una addetta Oss.
Di questi tempi, la domanda è ormai di consuetudine: -“È vaccinata? -“No” -“Brava!”
L’addetta a questo punto si sente autorizzata ad insultare : “Vi dovrebbero rinchiudere per un anno, siete voi, no vax, che infettate tutti!”
Tento di difendermi da tanta cattiveria, tra l’altro subita durante una notte per me difficile, le chiedo perché si permette di chiedere questo, visto che lei non fa neppure parte del personale infermieristico.
Mi risponde che è comunque doveroso chiederlo, lo fanno perfino davanti alla salita dell’autobus, richiedendo l’esibizione del green pass.
A quel punto chiama le infermiere e parlottano contro chi non si vaccina.

Siamo arrivati a una divisione netta tra le persone, ben fomentata dai media in un mantra costante, purtroppo.
Invece di aiutarci a superare tutti insieme questi mesi difficili, è stata creata la strategia della “caccia ai colpevoli”, una assurda divisione tra chi sostiene il pensiero unico e coloro che invece chiedono rispetto della Costituzione invocando la libertà di scelta.

Eseguita la tac vengo accompagnata in reparto con il referto: “Polmonite da Sars”
Entro così realmente dentro “la bolla”, come è chiamato il reparto Covid.
È una realtà che accomuna i pazienti in patologie e terapie simili, mai accaduto, credo, in altri reparti.
Le cure sono le stesse, così come le ansie, il guardare il saturimetro, consultare gli altri pazienti…
Perché si finisce in reparto?
Perché non sempre le cure domiciliari sono ottimali. Oppure per l’aggravamento delle patologie.
Il personale sanitario è molto preparato e professionale, attento alle esigenze di tutti i pazienti.
È protetto da tute sanitarie plastificate usa e getta, il viso quasi non riconoscibile, brilla solamente lo sguardo, più o meno dolce.
Mi sembrano statuine di gesso, bianche o celesti a seconda della mansione.
Le immagino parte di un presepe vivente, un presepe costante che non conosce soluzione di continuità.
È la nuova ‘normalità’.
Ammiro la loro presenza costante, il loro impegno svolto con professionalità.
Al paziente chiedono se è vaccinato, giusto, serve loro a formulare la storia clinica di ognuno, alcuni però ti chiedono anche il motivo, altri, pochi per fortuna, se manifesti un po’ di timore, aggiungono: “ci potevi pensare prima di arrivare qui”.
Dopo cinque giorni, fatta la terapia monoclonale, fatto il supporto di ossigeno e le varie terapie del caso, verificato che l’emogas, cioè l’ossigenazione del sangue va bene, vengo riportata a casa. Mio marito, più grave, resta ancora qualche giorno per la terapia con l’ossigeno.

In reparto covid mi sentivo in qualche modo protetta, seguita, non sola.
Arrivata a casa ho avuto la sensazione di essere di nuovo “ai domiciliari”, più isolata, ancora contagiosa quindi senza possibilità di comunicare.
Nessun sanitario viene a controllare la tua situazione clinica.
Solo contatti telefonici, comunque dopo aver verificato dal colloquio che “stai bene”.
Questa è la sensazione che avvolge i malati covid: entri dentro una bolla, immaginiamola d’aria, in isolamento totale per tanti giorni, non puoi comunicare, devi trovare chi può essere disponibile a lasciare il cibo alla porta…Non puoi uscire dalla bolla, nessuno può entrare nella bolla…
Finché la bolla non scoppia, finché risulti positivo al Covid, finché non passano 21 giorni dal primo tampone…
Se sei fortunato ne esci bene .
Se sei fortunato la bolla esaurisce la propria vitalità senza creare danni alle persone.

Concludo con un grande plauso ai medici di base come Erminia Ferrari della provincia di Brescia. Ha curato i pazienti casa per casa, non li ha lasciati soli, la presenza rassicurante del medico è molto importante, la cura domiciliare al paziente va attivata fin da subito.
Se vengono superate le barriere mentali, vengono attivate le cure domiciliari.

Spero di essermi spiegata e ci tengo a fare un appello: “Torniamo umani!”

Salute a tutt*

Renata Fontanella

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Note:
1: cf per esempio https://www.affaritaliani.it/coronavirus/garavelli-nel-picco-epidemico-non-si-vaccina-ora-lo-dice-crisanti-736684.html e per contrasto questo https://www.open.online/2021/07/08/covid-19-rapporto-vaccini-varianti/. Qui invece un interessante articolo sugli effetti avversi https://www.fondazionehume.it/wp-content/uploads/2021/11/Articolo_effetti_avversi-85.pdf. Riguardo al Green Pass è invece oramai acclarato che molti, forti della presunta protezione fornita da questo dispositivo, hanno di fatto veicolato in modo capillare il covid nelle sue molteplici varianti

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