“L’isola”

A questa voce di solito corrisponde un luogo vacanziero, lontano, in mezzo al mare, quindi raggiungibile soprattutto con mezzi di navigazione.
L’isola evoca momenti di spensieratezza, di viaggi in mezzo alla natura selvaggia, escursioni tra terra e mare, conoscenza di persone nuove, di luoghi incontaminati…
Gli abitanti vengono definiti isolani.
Cosa diversa se si tratta invece di un luogo mentale, divisorio, reso tale da un connubio di criticità agite da una epidemia.
Si diventa isolati.
Perchè scrivo questo?
Dopo il mio secondo isolamento da covid e dopo il periodo di pandemia mentale che stiamo vivendo, espongo alcune considerazioni.
Prima di tutto, dopo mesi vissuti in contesti difficili, ho capito quanto noi,popolo resistente (che resiste per esistere), che non accetta dittature sanitarie o quant’altro venga imposto dal potere, ebbene, noi veniamo discriminati, perciò ‘isolati’.
Non per questo subiamo le prepotenze, anzi, ripudiamo le violenze altrui e tentiamo un dialogo che possa farci tornare in contesti condivisi.
Tornando al mio nuovo isolamento, ho riflettuto su varie tematiche.
Questi sono i miei dubbi e/o considerazioni.
-Quanto dura il periodo nel quale un individuo infettato dal virus è effettivamente contagioso?
-Perché deve rimanere isolato fino alla famosa negatività?
-Come mai in poco più di un anno l’isolamento è stato gradatamente ridotto, da un mese a ventun giorni, a dieci giorni, a cinque giorni… È vero che il virus è mutato, ma i parametri sono stati molto ridotti. Questo significherebbe che comunque si potrebbe giungere a isolamento zero?
-Perché solo per l’infezione da Covid vengono utilizzate queste formule così ansiose di tutela verso l’altro, quando invece per patologie più gravi (ma evidentemente non ritenute così invasive) non esiste profilassi adeguata?
-Anni fa ho visto morire in poche settimane una vicina per il morbo della “mucca pazza”, eppure non è stata fatta né disinfezione, né profilassi verso i condomini.
-Esiste soprattutto e solo il Covid? È diventato un business?
Torno all’aspetto pratico dell’isolamento.
Giorni, ore, settimane…momenti infiniti di isolamento che appaiono ancora più difficili da chi ne è coinvolto.
Ogni giorno spera sia l’ultimo, ma ahimè, il tampone ancora positivo dice di no.
Ti senti osservato se ti affacci al balcone, ti senti portatore di virus e spiato se scendi a conferire la spazzatura, insomma, ti senti “colpevole” di qualcosa che non hai commesso ma che ti è arrivato addosso come un castigo.
Speri di non aver bisogno di aiuto medico, non potresti essere curato, sei contagioso, nessuno può avvicinarsi alla tua persona.
Sei i s o l a t o!
Sogni un altro mondo possibile, un’altra isola felice e raggiungibile, sogni una vita semplicemente normale.
Riuscirai a raggiungere l’isola dei tuoi sogni, riuscirai a liberarti dalle catene, riuscirai a sconfiggere il Male?
Sarai finalmente i s o l a n o!
Salute!
Renata Fontanella Li 26/9/2022

The Truman show

[intervento letto ad una manifestazione contro la guerra, contro Draghi e la politica delle emergenze e contro il Green Pass a Livorno sabato 2/4/22]

Penso che molti di noi abbiano visto il film The Truman show. Il film, riassumendo in poche parole, ci presenta la storia di un uomo che vive in un enorme studio cinematografico e tutto intorno a lui è fittizio: ambiente, persone, affetti, amici, costituiti da attori di una serie televisiva. Il problema è che crede che quella sia la realtà finché un giorno non scopre la verità.
Ecco, in questi ultimi tempi mi è capitato molte volte di pensare a questo film e di avere la netta sensazione di vivere, come il suo protagonista, in un mondo preconfezionato, dove però non esistono attori consapevoli di star interpretando una parte, bensì tanti Truman ignari di star vivendo una vita telecomandata che non è la loro. Ma se nel film chi dirige è un regista che crea intorno al protagonista una realtà gradevole, “perfettina”, con tutte le comodità desiderabili da un buon borghese, qui non c’è un regia, ma una potente macchina costituita prevalentemente dai mezzi di comunicazione e la realtà che ci confeziona non è neanche rassicurante ma dominata dalla paura, per contenere la quale si danno anche le ricette adeguate: basta seguire ciò che ci dice la grande macchina, le regole stabilite, non farsi troppe domande, non insinuare il dubbio perché se seguiamo la falsa verità che ci viene propinata non avremo problemi, saremo salvi. E allora se l’unica soluzione per sopravvivere al pericoloso virus che si è diffuso è sperimentare sul proprio corpo un farmaco di dubbia efficacia e sicurezza, ben venga, poco importa se mi ammalo lo stesso e potrei comunque finire all’ospedale, intanto ho compiuto il mio dovere di bravo cittadino, mi assicuro il posto di lavoro e non prendo multe grazie al mio super green pass che inoltre mi apre magicamente le porte di qualsiasi luogo, preservandomi il diritto alla vita sociale, allo sport, alla cultura e al divertimento. Ed è giusto così perché io ho il senso del dovere, sono responsabile e mi sento utile e in pace con me stesso. Ma come tutte le macchine, anche questa non è perfetta e appaiono le prime disfunzioni, chi resiste insinua dei dubbi e molte verità nascoste dal sistema mediatico cominciano ad affiorare. Chi vive dentro il grande inganno non vuole pensare, non vuole accettare le contraddizioni, le incongruenze anche quando sono sotto gli occhi di tutti, vedi il flop vaccinale e la assoluta inutilità del green pass come forma di contenimento della diffusione del virus. Il meccanismo fornito al bravo cittadino per l’“autodifesa” è semplice: chi non segue il pensiero dominante, è fuori di testa, è un complottista. Ma non è più abbastanza efficace, la pandemia ha fatto il suo tempo e allora, citando il titolo di un interessante articolo di Roberto Pecchioli, Togli mascherina, metti bandierina, finisce un’emergenza ne arriva un’altra: la guerra. Ed ecco a recitare tutti il ruolo di sostenitori dell’Ucraina cioè del Bene, rappresentato da Zelensky, contro il Male personificato invece nel suo nemico Putin, il mostro da annientare. Perché, sempre citando Pecchioli “la macchina globale di diffusione di verità preconfezionate” possiede tutte le verità, che sono semplici, bianco o nero, senza toni di grigio. Poco importa se qualcuno prova a dissentire, facendo presente che Zelensky non è proprio il baluardo della democrazia visto che si ritrova sulla coscienza (anche se lui solo in parte direttamente) la morte di almeno 15.000 persone grazie agli attacchi militari nel Donbass filorusso, che si sono ripetuti in questi ultimi 8 anni, avvalendosi anche di formazioni paramilitari filo-naziste. Se lo fai diventi automaticamente un filo-Putin (così come in epoca di pandemia entravi immediatamente nelle categorie negazionista, terrapiattista, fascista) così come se ti azzardi a fare una banale osservazione basata su una semplice visione realistica: che forse se Putin con le sue forze militari avesse accerchiato qualsiasi paese dell’UE o gli USA così come ha fatto l’alleanza NATO verso la Federazione russa, qualsiasi capo di Stato probabilmente avrebbe reagito così come ha fatto Putin in questa occasione – senza voler con questo giustificare l’aggressione all’Ucraina. Perché questo è il sistema in cui viviamo, dove gli interessi economici vanno ben oltre ogni speranza di pace e dichiararsi contro la guerra sapendo di operare perché si scateni e dire di contribuire alla pace inviando le armi a un paese belligerante è un non senso. Creare i folli fa parte del grande inganno, significa deviare ancora una volta dalla verità e cioè che questo sistema non lo determinano i mostri che esso stesso genera, ma è principalmente il sistema stesso ad essere mostruoso, folle e portatore di morte.
Ma il bravo cittadino che vive nello show non ha orecchie, non può cedere al dubbio e perdere le sue certezze, questo lo destabilizzerebbe e lo riporterebbe in balia della paura indotta, c’è lo Stato che lo tranquillizza e lo protegge, inviando armi perché vinca il Bene, e dandogli un vaccino perché lo salvi dalla morte. La paura è un forte strumento di potere che usa per tenerti in pugno e chi dissente è un pericolo, è un fatto psichiatrico, chi dissente è un fuori di testa.
In realtà colui che dissente è chi non accetta di essere uno dei tanti Truman, di vivere nel grande show dove ognuno degli attori ripete ogni giorno, come un disco rotto, quello che dice la grande macchina, è chi è riuscito squarciare il velo delle menzogne per riuscire a capire dove si nasconde la verità, chi affronta la complessità, chi mantiene l’autonomia di pensiero, chi smaschera l’ipocrisia ributtante di un potere che semina discriminazione (prima con la caccia all’untore poi con la caccia al russo), che si mostra indifferente verso le vittime innocenti dei bombardamenti israeliani o sauditi e poi vomita a profusione una farsesca solidarietà al popolo ucraino, facendo una netta distinzione razzista con quelli “meno civilizzati” come gli iracheni, i siriani o gli afgani…
Chi dissente è chi ha accettato di essere minoranza, che ha rinunciato alla miseria del pensiero binario e alla vita rassegnata ed eterodiretta per assumersi una grande responsabilità: agire per arrivare a strappare finalmente i teloni del Grande Studio Televisivo per riappropriarci del nostro destino in una realtà che non sia finzione, distruggendo la grande macchina, liberandoci definitivamente di chi detiene il potere e una volta liberi porre le basi per una società giusta, senza guerre, veramente solidale e inclusiva, perché a quel punto non sarà più il profitto a comandare ma altri valori.

Sonia Bibbolino

Scuola e controllo sociale ai tempi del Covid

[intervento letto ad un incontro contro il Green Pass a Firenze sabato 12/2/22]

Nel mio intervento parlerò ovviamente di scuola, quella scuola pubblica e gratuita che è stata sicuramente una grande conquista, garanzia di formazione per tutti i ragazzi indipendentemente dalla loro condizione sociale ed economica. Una scuola pubblica che dovrebbe offrire un ambiente idoneo alla crescita personale e allo sviluppo di una coscienza critica ma soprattutto essere un luogo inclusivo e di sana socialità.

Bene che cosa è rimasto di questa scuola?

L’imposizione di questa “emergenza pandemica” non ha fatto altro che mettere a nudo le sue forti criticità e invece di cogliere l’occasione per eventuali miglioramenti si è dato l’affondo finale. Si sarebbe potuto per esempio risolvere il problema annoso delle classi sovraffollate riducendo il numero degli studenti per classe, invece si è optato per imporre la didattica a distanza con una accelerazione tale da rendere imprescindibile l’uso delle nuove tecnologie e procedere a una digitalizzazione forzata. Per non parlare dei provvedimenti a dir poco grotteschi come i banchi a rotelle, rimasti completamente inutilizzati (ma utilissimi per giocare all’auto scontro) con un enorme spreco di denaro pubblico che poteva essere meglio impiegato, e per il quale nessuno ha pagato e mai pagherà.

Si sarebbe potuto rafforzare il senso di comunità e di auto aiuto, invece si è acuito il senso dell’istituzione scuola come luogo di disciplinamento dove i ragazzi devono sottostare a ulteriori regole alle quali non si deve assolutamente trasgredire, pena essere tacciato di irresponsabile e cattivo cittadino: distanziamento sociale (definizione che ormai è entrata nel nostro gergo e che già di per sé sarebbe da rifiutare), uso tassativo delle mascherine, (credo che le scuole siano ancora piene di quelle prodotte dalla ex-FIAT, ma adesso si deve soffocare con le Ffp2), entrate e uscite scaglionate, divieto di assembramento anche fuori dall’edificio scolastico, vietato toccarsi, abbracciarsi e anche scambiarsi oggetti. Fine dei lavori di gruppo, fine di un rapporto minimamente empatico con il docente che non può neanche aggirarsi tra i banchi, non ci si incontra nei corridoi, non si fa ricreazione fuori se non in spazi delimitati e assegnati alle singole classi. Insomma le caratteristiche tipiche di un vero e proprio carcere. Un sistema carcere che si estende anche oltre la scuola grazie alla vergognosa misura discriminatoria delle limitazioni agli spostamenti per gli studenti senza super GP, sui mezzi di trasporto pubblici.

Ma veniamo all’inclusione, questo termine tanto sbandierato e che tanti colleghi hanno sempre in bocca, tema privilegiato di educazione civica. Come si fa ancora a parlare di scuola inclusiva dopo il ricatto del “vaccino”? Un trattamento genico, vorrei ricordare, che in particolare nella fascia 6-20 è totalmente inutile, non solo dal punto di vista del contenimento dei contagi, visto che il virus che ha circolato e circola ancora negli istituti scolastici e in generale in tutti gli ambienti frequentati, è palesemente veicolato da chi è vaccinato, e questo ormai non lo può più negare nessuno, ma anche dal punto di vista della protezione da un evolversi critico della malattia, che per bambini e adolescenti presenta un rischio pari a poco più di zero. Un siero inutile, dunque,e senza la minima certezza che sia innocuo nel medio e lungo termine, visto che mancano studi sulla genotossicità e sulla cancerogenicità. Ma la Regione Toscana e Giani non si fanno scrupoli di portare vaccinatori dentro le scuole elementari, e di andarne fieri. Il messaggio che i bambini e i ragazzi hanno ormai interiorizzato è: o ti vaccini o sei fuori dalla società (non vai a fare sport, non vai a mangiare la pizza o al cinema coi tuoi amici….) e siccome sei pericoloso non entri nemmeno in classe. Non solo, anche chi non ha eseguito esattamente altri dettami dello stato rientra in questa logica discriminatoria. L’ultimo vergognoso provvedimento governativo prevede infatti che i non vaccinati, quelli che non hanno completato il ciclo vaccinale con il famoso booster, i guariti o con due dosi ma che hanno superato i 120 giorni dalla guarigione o dall’ultima dose, nel caso in cui ci siano 2 o più casi positivi in classe, se ne devono stare a casa in didattica a distanza.

Insomma se non rientri nei suddetti casi sei uno studente legalmente discriminato, di serie B, uno scarto.

Così come è uno scarto l’insegnante che fino a poco tempo fa veniva in classe a farti lezione e che siccome non ha obbedito alle nuove norme, che di per sé devono essere buone e non si possono mettere in discussione (alla faccia dello sviluppo del senso critico e dell’autonomia di pensiero!) viene “giustamente” allontanato. Poco importa se tu gli volevi bene o era un bravo insegnante. E così la scuola espelle dal suo corpo questi pochi ma significativi “bubboni”, non perché non sappiano fare il loro lavoro o non ne abbiano i titoli, ma semplicemente perché non hanno un lasciapassare, fondamentalmente perché non hanno obbedito, perché di questo si tratta. Il gp è uno strumento politico discriminatorio e di disciplinamento che non ha niente a che vedere con una misura sanitaria, perché questo ormai è sotto gli occhi di tutti. Quindi dov’è il senso di questa misura?

All’insegnante sospeso per nessuna colpa è negato ogni emolumento, perché sia chiaro che si tratta di una punizione contro i renitenti: niente assegno familiare o alimentare, che invece spetta a chi viene sospeso per motivi disciplinari, commettendo un reato.

Il senso è che siamo in una fase storica in cui gli stati fantoccio falsamente democratici, hanno bisogno di sudditi, non di liberi cittadini, e noi che resistiamo, quei pochi insegnanti che non hanno ceduto, siamo delle mine vaganti, non solo perché disobbediamo ma perché forse saremmo gli unici a continuare a fare scuola sul serio e a far passare messaggi non accettabili dal sistema.

Un sistema che si trova in una crisi profonda, che viene da lontano, la cui prima manifestazione evidente la possiamo far risalire alla crisi finanziaria del 2007. I tentativi di assestamento che ci sono stati in questi anni non hanno dato alcun frutto, prova ne è la stagnazione economica e la progressiva espulsione dal mondo del lavoro di larghe fette della popolazione andando ad allargare inesorabilmente disagio sociale e scontento. In questo contesto la pandemia (vera o presunta, ma questo è ininfluente) con le misure restrittive ad essa connessa, cade, come si suol dire a fagiolo: da una parte si coglie l’occasione per spingere i settori trainanti che danno ancora margini importanti di profitto (in primo luogo la farmaceutica, che oltre tutto vola in borsa, il digitale e l’e-commerce) e allo stesso tempo si tagliano i rami secchi e improduttivi costituiti dalla piccola e media impresa, che verrà successivamente fagocitata dalle grandi multinazionali, dall’altra le dure restrizioni imposte forniscono la risposta necessaria per tenere sotto controllo il crescente e prevedibile disagio sociale prodotto dalle chiusure di imprese e dalle ulteriori perdite occupazionali, dall’aumento dei prezzi , ecc.

Ed ecco che anche la scuola deve assolvere il suo compito: contribuire a sfornare bravi cittadini (o sudditi), ligi al dovere che credono nella bontà di uno stato che li protegge e se qualcosa va storto, se per esempio uno studente perde la vita durante lo stage di alternanza scuola lavoro e osano manifestare il loro dissenso, vengono subito messi a tacere con la forza e rimessi al loro posto.

Ma tutto questo in realtà non è che il risultato di un lungo processo, di anni di riforme di una scuola che ha sempre più la fisionomia di una azienda il cui dirigente si preoccupa in primo luogo di far quadrare i conti, del numero degli iscritti, della vetrina dei progetti assegnati, di non avere ricorsi, dove è aumentata a dismisura la burocrazia e le riunioni inutili che sottraggono tempo alla didattica, e in cui gli insegnanti si sono abituati sempre più ad essere dei semplici funzionari più che educatori.

Quello che vorrei dire per concludere, e uscendo anche dal contesto scolastico, è che quello che stiamo vivendo non è che la forma estrema di ciò che c’era già ma che non appariva in tutta la sua tragicità. La pandemia, come una voluta cartina di tornasole, ha messo a nudo la violenza del sistema e ci ha costretto a prendere posizione, a resistere per esistere. Adesso sta a noi cogliere l’occasione per combatterlo, uscirne e creare finalmente un mondo nuovo che sappia garantire quanto di umano stanno cercando di toglierci: giustizia, solidarietà, fraternità, uguaglianza, spiritualità e gioia di vivere.

Sonia Bibbolino

Dentro la bolla

Pubblichiamo questa lettera/testimonianza di Renata Fontanella. Renata, come molti ultimamente, ha dovuto subire il calvario del covid, sia fisicamente che moralmente. Non essendo vaccinata, chiunque infatti si può sentire in diritto di rimproverare le persone come lei addebitando loro le colpe praticamente di tutto (meccanismo purtroppo tragicamente noto, questo, nella storia dell’umanità), abdicando di fatto ad ogni spirito critico e capacità di ragionamento autonoma. Tutto quello di strano e non spiegato che sta dietro la vicenda “covid” viene cancellato con un colpo di spugna, ogni possibilità di cura diversa dalla vaccinazione di massa irrisa e dichiarata aprioristicamente inefficace, ogni pensiero che sollevi anche solo una perplessità, demonizzato e crocifisso all’istante, e chi dubita definito immediatamente con qualche appellativo infamante. Non è il caso di entrare nel dettaglio, di provare qui a capire per esempio se la vaccinazione diffusa sia consigliabile durante le epidemie, oppure non sia essa stessa un’arma a doppio taglio (così come il famoso “green pass”), che favorirebbe l’emergere delle varianti, come sostiene una certa scolastica epidemiologica,1 oppure se i problemi di “affollamento” degli ospedali dipendano dalla “stolidità” dei cosiddetti “no vax”, o dai feroci tagli alla sanità pubblica fatti negli ultimi decenni da tutti i governi, centro-sinistra o -destra che fossero, o se gente come Brunetta o Draghi possa insegnarci qualcosa e farci persino la morale, infine quale sia la scienza “buona” e quella “cattiva”, e soprattutto chi decida questo gioco delle parti e in che direzione. Tutte domande ed osservazioni che lasciamo qui in sospeso ma che dovrebbero, speriamo e crediamo, occupare molto spazio di riflessione nel prossimo futuro.
Buona lettura

********************

Accade che un giorno, mentre stai programmando il tuo tempo, quel tempo si debba fermare.
In casa tua c’è un positivo al covid.
Da quel momento entri dentro quella bolla che ti isolerà per un lungo periodo dai contatti umani.
Il medico di base ti consiglia un tampone dal quale risulti ancora negativa.
Però stai male.
Ancora il medico ti fornisce assistenza al telefono, ti consiglia antinfiammatori, antibiotico,
vitamine…
Non è possibile una visita domiciliare, sei “dentro la bolla”, puoi infettare, puoi trasmettere il virus…
La notte successiva ti senti male, vomito, febbre, non sai cosa fare.
La persona che convive con te, tuo marito, sta anche peggio.
Ricontatti il medico.
Tramite lui vieni contattata dal personale Usca.
“Signora come sta?”
“Molto male, vomito continuo.”
“ Se ha la patente vada in auto a fare un tampone”
“Come? – domando io – Ma se non mi reggo in piedi come faccio?”
A quel punto i familiari contattano una ambulanza che mi porta al pronto soccorso covid.
La stessa soluzione anche per mio marito.
Troviamo personale preparato, fanno le analisi tempestivamente.
Positiva al covid.
Per accompagnarmi ad eseguire la tac polmonare chiamano una addetta Oss.
Di questi tempi, la domanda è ormai di consuetudine: -“È vaccinata? -“No” -“Brava!”
L’addetta a questo punto si sente autorizzata ad insultare : “Vi dovrebbero rinchiudere per un anno, siete voi, no vax, che infettate tutti!”
Tento di difendermi da tanta cattiveria, tra l’altro subita durante una notte per me difficile, le chiedo perché si permette di chiedere questo, visto che lei non fa neppure parte del personale infermieristico.
Mi risponde che è comunque doveroso chiederlo, lo fanno perfino davanti alla salita dell’autobus, richiedendo l’esibizione del green pass.
A quel punto chiama le infermiere e parlottano contro chi non si vaccina.

Siamo arrivati a una divisione netta tra le persone, ben fomentata dai media in un mantra costante, purtroppo.
Invece di aiutarci a superare tutti insieme questi mesi difficili, è stata creata la strategia della “caccia ai colpevoli”, una assurda divisione tra chi sostiene il pensiero unico e coloro che invece chiedono rispetto della Costituzione invocando la libertà di scelta.

Eseguita la tac vengo accompagnata in reparto con il referto: “Polmonite da Sars”
Entro così realmente dentro “la bolla”, come è chiamato il reparto Covid.
È una realtà che accomuna i pazienti in patologie e terapie simili, mai accaduto, credo, in altri reparti.
Le cure sono le stesse, così come le ansie, il guardare il saturimetro, consultare gli altri pazienti…
Perché si finisce in reparto?
Perché non sempre le cure domiciliari sono ottimali. Oppure per l’aggravamento delle patologie.
Il personale sanitario è molto preparato e professionale, attento alle esigenze di tutti i pazienti.
È protetto da tute sanitarie plastificate usa e getta, il viso quasi non riconoscibile, brilla solamente lo sguardo, più o meno dolce.
Mi sembrano statuine di gesso, bianche o celesti a seconda della mansione.
Le immagino parte di un presepe vivente, un presepe costante che non conosce soluzione di continuità.
È la nuova ‘normalità’.
Ammiro la loro presenza costante, il loro impegno svolto con professionalità.
Al paziente chiedono se è vaccinato, giusto, serve loro a formulare la storia clinica di ognuno, alcuni però ti chiedono anche il motivo, altri, pochi per fortuna, se manifesti un po’ di timore, aggiungono: “ci potevi pensare prima di arrivare qui”.
Dopo cinque giorni, fatta la terapia monoclonale, fatto il supporto di ossigeno e le varie terapie del caso, verificato che l’emogas, cioè l’ossigenazione del sangue va bene, vengo riportata a casa. Mio marito, più grave, resta ancora qualche giorno per la terapia con l’ossigeno.

In reparto covid mi sentivo in qualche modo protetta, seguita, non sola.
Arrivata a casa ho avuto la sensazione di essere di nuovo “ai domiciliari”, più isolata, ancora contagiosa quindi senza possibilità di comunicare.
Nessun sanitario viene a controllare la tua situazione clinica.
Solo contatti telefonici, comunque dopo aver verificato dal colloquio che “stai bene”.
Questa è la sensazione che avvolge i malati covid: entri dentro una bolla, immaginiamola d’aria, in isolamento totale per tanti giorni, non puoi comunicare, devi trovare chi può essere disponibile a lasciare il cibo alla porta…Non puoi uscire dalla bolla, nessuno può entrare nella bolla…
Finché la bolla non scoppia, finché risulti positivo al Covid, finché non passano 21 giorni dal primo tampone…
Se sei fortunato ne esci bene .
Se sei fortunato la bolla esaurisce la propria vitalità senza creare danni alle persone.

Concludo con un grande plauso ai medici di base come Erminia Ferrari della provincia di Brescia. Ha curato i pazienti casa per casa, non li ha lasciati soli, la presenza rassicurante del medico è molto importante, la cura domiciliare al paziente va attivata fin da subito.
Se vengono superate le barriere mentali, vengono attivate le cure domiciliari.

Spero di essermi spiegata e ci tengo a fare un appello: “Torniamo umani!”

Salute a tutt*

Renata Fontanella

—–
Note:
1: cf per esempio https://www.affaritaliani.it/coronavirus/garavelli-nel-picco-epidemico-non-si-vaccina-ora-lo-dice-crisanti-736684.html e per contrasto questo https://www.open.online/2021/07/08/covid-19-rapporto-vaccini-varianti/. Qui invece un interessante articolo sugli effetti avversi https://www.fondazionehume.it/wp-content/uploads/2021/11/Articolo_effetti_avversi-85.pdf. Riguardo al Green Pass è invece oramai acclarato che molti, forti della presunta protezione fornita da questo dispositivo, hanno di fatto veicolato in modo capillare il covid nelle sue molteplici varianti

The Great Reset: un libro per tutti e per nessuno

“Ci dominate per il nostro bene” disse con un filo di voce. “Credete che gli esseri umani non siano adatti a governarsi da soli, perciò…”

-George Orwell, 1984

Si può dire, in fondo, che il motto del liberalismo sia “vivere pericolosamente”. Vale a dire che gli individui sono messi continuamente in stato di pericolo o, meglio, che sono posti nella condizione di esperire la loro situazione, la loro vita, il loro presente, il loro avvenire, ecc., come fattori di pericolo… Si pensi, ad esempio, alla campagna sulle casse di risparmio dell’inizio del XIX secolo, alla comparsa della letteratura poliziesca e dell’interesse giornalistico per il crimine a partire dalla metà del XIX secolo, si pensi a tutte le campagne riguardanti la malattia e l’igiene, si consideri tutto ciò che accade intorno alla sessualità e alla paura delle degenerazione: degenerazione dell’individuo, della famiglia, della razza, della specie umana; insomma dappertutto si può vedere questa stimolazione del timore del pericolo, che è in qualche modo la condizione, il correlativo – psicologico, culturale, interno – del liberalismo. Niente liberalismo senza cultura del pericolo… Libertà economica, liberalismo nel senso che ho appena detto, e tecniche disciplinari sono strettamente connesse

-Michel Foucault, La questione del liberalismo

E poi bisognerebbe riflettere su quelli che, incapaci (a loro merito) di stare nell’ossessivo discorso maggioritario, ma drasticamente privi di strumenti critici, sono caduti (a loro rischio) in alter-narrazioni tossiche. Non sorprende, d’altronde, che dopo decenni di banalizzazione della lingua, di colonizzazione dell’immaginario e di guerra alla complessità, le più sciape storie dell’orrore possano suonare credibili. Da un certo punto di vista, questi nuovi “credenti” rappresentano una catastrofe e una fatica di Sisifo per chi, oltre a non stare nella narrazione maggioritaria, deve poi anche smarcarsi da questa galassia. Ma c’è qualcosa che va osservato e, se possibile, contattato: la qualità umana di chi trova così atroce quel che va accadendo, da ipotizzare che possa esser giustificato solo da qualcosa di altrettanto atroce

-Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni, Come siamo arrivati fin qui? Il contagio di un’idea di salute

Di fronte a tutto questo, non c’era da stupirsi che nascessero fantasie di complotto. C’era da stupirsi che non ne nascessero anche di più

-Wu Ming 1, La Q di Qomplotto. Qanon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema

The Great Reset: un libro per tutti e per nessuno

Si è fatto un gran parlare, da qualche tempo a questa parte, di un testo dal titolo The Great Reset, apparso principalmente sul web (comunque anche disponibile in versione cartacea, per i temerari che volessero procurarselo). Il libro, che – come si intuisce dal titolo – vorrebbe proporre suggerimenti per un reset del mondo, dopo la cosiddetta pandemia, è disponibile qui, only in english ovviamente, come la maggior parte di questo tipo di testi – cosa che pone già un limite alla possibile utenza.

Le reazioni a questa pubblicazione sono state, come immaginabile, le più varie: dal grido di allarme di chi ci leggeva una sorta di manuale di istruzioni per l’istituzione di una società post-covid “iper-orwelliana”,1 a chi ne tesse gli elogi, trovandolo equilibrato e foriero di valide proposte per un futuro “sostenibile” – per usare una delle parole magiche del momento.2

Ma come nasce questo testo, chi l’ha scritto, quando e perché? Cosa dice nel dettaglio?3

Per rispondere a queste domande, e visto che spesso se ne parla solo per sentito dire, ci siamo presi la briga di leggerlo, e abbiamo pensato di riportare in queste poche pagine una sintesi dei punti salienti, più alcune nostre ovviamente non vincolanti impressioni. Premetto che la “sintesi” non sarà brevissima come inizialmente sperato, per cui pregherei il coraggioso lettore o la coraggiosa lettrice, che vorranno avventurarsi nella lettura, di armarsi di un po’ di pazienza.

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Lettera ai “compagni”

È da tanto che ci penso a scrivere questa lettera e credo che sia ormai giunto il momento, perché sono stufa e sto bollendo di rabbia. Tanto so che non ve ne fregherà una mazza di quello che scrivo io, ed è anche giusto così, ma serve a me perché non ce la faccio più a tenermi tutto dentro.

Mi dispiace dirvelo, ma voi siete fuori dalla storia, siete destinati a finire nel nulla, a dissolvervi nel vuoto assoluto. Il mondo sta andando da una parte e voi neanche lo guardate passare, vi girate direttamente dall’altra parte, spettatori indifferenti di un film dell’orrore che in verità non è un film ma la cruda realtà. Indifferenza disarmante, e per questo sarete giudicati, voi che vi riempite tanto la bocca di frasi fatte, balbettìo da televisione che suona ormai come banale retorica non dissimile da quella della sinistra democratica che governa insieme a lega e compagnia bella.

Voi che avete appoggiato, fin dall’inizio, questi governi di criminali, anzi, menomale che non c’eravate voi al potere, sennò a quest’ora eravamo finiti tutti nei gulag. E li avete appoggiati perché hanno a cuore la nostra salute!! Ma cos’è una barzelletta del Vernacoliere? Siete usciti tutti ora dal Bubbocine? Hanno a cuore la nostra salute? Ma avete presente di chi si sta parlando?

Avete approvato questa deresponsabilizzazione assoluta dello Stato, facendo ricadere solo sui cittadini la responsabilità dell’andamento pandemico e della crisi sanitaria, frutto di anni e anni di tagli scellerati.

Avete incentivato lo spirito del questurino, del controllore, di ogni cittadino “per bene”, notoriamente un grande altruista che si è scoperto improvvisamente altruista e solidale, difensore indefesso dei nonni, che fino a un giorno prima ha rinchiuso nelle RSA levandoseli da tre passi (e gli è andata anche bene sennò li buttavano direttamente nell’inceneritore).

Avete applaudito gli elicotteri che sorvolavano i nostri cieli in cerca dell’untore che andava a fare una corsetta lungomare o una passeggiata nel bosco e invocato l’esercito per strada per farci rigare tutti dritti.

Avete approvato il coprifuoco, una parola che solo a pronunciarla dovrebbe far venire la pelle d’oca!

Avete accettato il lockdown come una misura oculata dando per scontato che fosse una risposta “scientifica” ed efficace per il contenimento del contagio.

Avete accettato un linguaggio di guerra e non vi siete scandalizzati quando un De Luca qualsiasi ha parlato di napalm come soluzione finale contro i cosiddetti no vax.

Tutto questo è stato accettato senza mettere nulla in discussione, nemmeno un momento di riflessione critica, un dubbio, un interrogativo…

E possiamo andare avanti.

Vi è sembrato normale che i lavoratori fossero ricattati, anzi, vi sembra normale che uno stato ricatti i suoi cittadini.

Vi è sembrato giusto lo stillicidio di sospensioni dal lavoro dei sanitari.

Vi è sembrato giusta poi l’introduzione del green pass come misura sanitaria di contenimento a dir poco fantasiosa, perché non c’è bisogno di essere uno scienziato per capire che non ha niente di “sanitario”, in quanto fuori da ogni logica. Qual è la logica se io con green pass da tampone sono sicura di non contagiare nessuno mentre gli altri (vaccinati) possono portare a giro il virus quando e come gli pare?

E terminiamo con la notizia fresca: immagino abbiate applaudito quanto approvato dal consiglio dei ministri proprio pochi giorni fa: il decreto del Super green pass (già questo nome è da non credere, potevano chiamarlo anche Mastro Lindo già che c’erano) che introduce l’obbligo di vaccino per tutti i dipendenti pubblici (perché siamo più pericolosi degli altri o perché non produciamo un cazzo e quindi ci possono anche sterminare?). Gli altri lavoratori invece possono tranquillamente continuare a svolgere la loro funzione di schiavi sottopagati ma, giustamente, per farlo devono anche comprarsi il lasciapassare per produrre quella merda che consumate anche voi! Ma ci sarebbe da riversarsi a fiumi in piazza! Questa è follia!

Bene, avete deciso a priori da che parte stare, senza cercare di capire le ragioni di coloro che si pongono in una posizione critica, senza cercare di capire le ragioni di una protesta (con tutti i suoi limiti e contraddizioni di cui sono ben cosciente) che si ingrossa ogni giorno e che raccoglie tanti malumori che vengono da lontano, un malessere molto più profondo di quanto voi possiate immaginare perché siete legati alle vostre stupide certezze che vi rendono incapaci di leggere il presente. Non riuscite a capire che queste proteste sono espressione della consapevolezza che questa società, la società capitalista, è invivibile e disumana. Wu Ming parla appunto di “nuclei di verità” che sono presenti in tutti i cospirazionismi, complottismi e compagnia bella che proliferano ultimamente. Il fatto che poi da certe premesse si finisca per dare una spiegazione a dir poco fantasiosa della mostruosità del mondo in cui viviamo, invece di sviluppare “una coscienza coerentemente anticapitalista”, non rende quelle premesse, quei “nuclei di verità”, meno veri.

E vorrei concludere sempre citando proprio Wu Ming:

“I nuclei di verità sono premesse generali, intuizioni monche, malcontenti vaghi, collere poco o per niente elaborate, mali di vivere nella società capitalistica […] Sono nuclei da cui in passato si sono sviluppati nobili filoni di critica alla medicina capitalistica, da Ivan Illich ai coniugi Basaglia, da Michel Foucault all’SPK tedesco, da F. Guattari agli antipsichiatri britannici.

Subordinazione della salute alla ricerca del profitto, rapporto morboso tra medicina e mercato, dipendenza della ricerca medico-farmaceutica da imprese ad alta concentrazione di capitale, crescente burocratizzazione e spersonalizzazione della cura, sfiducia nell’industria sanitaria dopo una lunga sfilza di scandali. Sono o sarebbero tutti temi nostri, sui quali si esprime un malcontento che non intercetteremo mai, e di conseguenza non porteremo mai in direzioni più sensate e feconde, se ci rifiutiamo di vederlo e trattiamo chi lo esprime soltanto come un nemico. Così facendo ci riduciamo a gatekeeper del sistema, difensori dello status quo. E lasciamo campo libero a mestatori e fascisti”. *

E di questo vi ringrazieremo in eterno

Un ringraziamento di cuore invece lo voglio fare davvero: a quelle compagne e compagni veri, sanitari/e, colleghi e colleghe di scuola, che resistono, perché non è facile. Voi neanche avete la minima idea di cosa stiamo passando (e alla fine non ve ne importa un bel nulla), siamo attaccati, braccati, trattati di tutto un po’, in attesa di essere buttati fuori dal lavoro come stracci vecchi con nessun sindacato di merda che ci difende. Ma resistiamo e ne sono orgogliosa, tutti ne dobbiamo essere orgogliosi. Mi sono sfogata anche per loro e li abbraccio forte.

Noi siamo la resistenza, voi non siete i miei compagni.

Sonia Bibbolino

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* Intervista a Wu Ming, pp.10-11. Reperibile qui, scaricabile in pdf qui

Il discorso dominante del vaccino

“Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive
-Giacomo Leopardi, La Ginestra o il fiore del deserto

“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”
-Dante, Inferno, III, 51

Come il virus, anche il vaccino si è incagliato nella mentalità collettiva sotto forma di discorso dominante. Come il virus è pericolosissimo e estremamente letale per tutti, nessuno escluso, così il vaccino è sicuro per tutti, è l’unica ancora di salvezza nella terribile tempesta scatenata dal Covid 19. Il vaccino si è trasformato in una entità sovrana e perfetta, tanto da assumere alcune caratteristiche divine. Del resto, non c’è da stupirsi, siamo in Italia (che prosegue ottusamente nella campagna vaccinale nonostante siano stati sollevati diversi dubbi in molti paesi europei), un paese saldamente ancorato a un arcaico cattolicesimo ma anche a una diffusa fede per qualsiasi forma di religione e divinità, dal buddismo al Mago Otelma. Lo si poteva prevedere fin dalla fine di dicembre scorso, quando l’arrivo delle prime dosi era stato accolto all’aeroporto come un capo di Stato e scortato da polizia e mezzi militari, quasi si trattasse della Sacra Sindone o del simulacro di una qualche divinità. Re Vaccino I ha fatto così il suo ingresso in Italia.

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The Magnificent Thirty

Nel dicembre 2020 è uscito un testo decisamente interessante per le sorti del mondo sottoposto alla pressione “Covid”. Si tratta di Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid [it: Rilanciare e ristrutturare il settore aziendale post-covid], una pubblicazione proveniente dal cosiddetto “gruppo dei 30”, che ha come significativo sottotitolo Designing Public Intervention [it: Progettare interventi di politica pubblica].

Per capire di cosa parla questo agile (ma forse non troppo) libercolo, può essere utile leggere il comunicato stampa e il relativo abstract, che funge anche da presentazione, che qui traduciamo e che sono comunque reperibili on line rispettivamente, nell’originaria lingua inglese, qui e qui.

Ma, prima ancora, è forse il caso di dire due parole su questo famoso “gruppo dei 30”. Questo gruppo raccoglie trenta fra i più eminenti economisti e politici (molti uomini e, come sempre, poche donne) del globo. Il loro scopo, considerando l’esperienza e la profonda conoscenza del mondo politico ed economico ad essi riconosciuta, consiste prevalentemente nell’analizzare a fondo lo status quo e redigere documenti attraverso i quali consigliare per il meglio i potenti di turno sul da farsi affinché il sistema possa godere di buona salute, o almeno della migliore possibile. Niente di misterioso od esoterico, dunque. Si possono raccogliere moltissime informazioni su di loro con un semplice tour sul web, e i loro documenti sono facilmente reperibili e scaricabili on line qui (tutti rigorosamente in english, naturalmente). Ma la loro pericolosità non consiste certo in un presunto agire nell’ombra, ma proprio nella loro “normalità”, ovvero in ciò che predicano adempiendo alle funzioni di “guardiani” e “counselor” del sistema. Detto di passata, può interessare la nostra italica curiosità il fatto che uno dei più prestigiosi ed attivi fra i componenti di questo notevole gruppo sia il più amato fra i presidenti, ovvero il nostro Mario Draghi, il quale ha addirittura l’onore di rivestire la carica di membro senior.

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Il discorso dominante del virus

La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.

George Orwell, 1984

L’emergenza del virus ha portato con sé anche un discorso dominante, creato dal potere e diffuso dai suoi più svariati servitori mediatici: i telegiornali, i giornali e tutte le diramazioni create dalla Rete. Tale discorso dominante parla della verità o, meglio, di ciò che è giusto, di ciò che è bene. Una caratteristica di questo discorso è infatti quella di essere contrapposto, quasi in forma manichea, a ciò che viene definito come male, come sbagliato. Da una parte c’è il bene, dall’altra c’è il male. Anche un bambino di quattro anni capirebbe che non può funzionare così, non deve funzionare così. Il discorso dominante funziona invece come un blocco monolitico al quale non ci si può contrapporre se non si vuole cadere vittima della pratica dell’interdetto e del divieto.

Come nota Michel Foucault ne L’ordine del discorso, pressoché in tutte le società esistono “narrazioni salienti che si raccontano, si ripetono, si fanno variare; formule, testi, insiemi ritualizzati di discorsi che si recitano, secondo circostanze ben determinate; cose dette una volta e che si conservano, perché vi si presagisce qualcosa come un segreto o una ricchezza”.1 Tali narrazioni possono benissimo essere rappresentate, nelle società antiche, dai racconti mitici e dai miti in generale. Nella società contemporanea, in cui la parola mitica in senso proprio è stata completamente rimossa, quegli stessi racconti mitici del passato hanno assunto le vesti di una vera e propria nuova ‘mitologia’, quella della società dei consumi. All’interno di essa, fin dall’avvento dei media di massa, il mito viene infatti sostituito dalla narrazione mediatica e mediatizzata, quella riferita dai telegiornali e dai giornali e, adesso, anche dalle più diverse diramazioni di Internet (dai social ai blog). Ma cosa afferma, di preciso, il discorso dominante del virus? Afferma, innanzitutto, la sua pericolosità assoluta, senza alcuna distinzione (in base ai luoghi o all’età delle persone, per esempio) o discussione e l’assoluta necessità di distanziamento sociale. In seguito a ciò, i governi hanno assunto diverse misure per mettere in pratica il cosiddetto lockdown.

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L’altra faccia della paura

Una narrazione quasi personale.

Il piccolo voleva nascere, entrare anche lui nel mondo reale, uscire dal caldo abbraccio della placenta materna. Nascere.
La mamma aveva avvertito le prime contrazioni, le acque si stavano per rompere – come si dice in gergo.
Alla notizia, ho sentito una emozione indescrivibile, ho pianto.
Nella stessa casa, 35 anni prima, ho avuto lo stesso avvertimento, nella stessa stanza…allora stava per nascere il mio secondo figlio.
Questo primo nipote è nato tre giorni dopo, all’ospedale di Cecina il giorno 11 marzo 2020. Gioia immensa, ma paura di non poterlo abbracciare, almeno per il momento. Così è stato.
Questa data, per la mia famiglia, è diventata molto importante, mentre per la nostra realtà, per tutto il mondo, è una data che ci ha avvolti in un cerchio infernale, dentro la PAURA.
Paura innescata dall’allerta, dai media, dai giornali, dalle immagini di bare…di intubazioni…di sofferenze estreme…di morte!
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