Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria

Recensione a Silvia Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, 2020, pp. 343, euro 28.

Non è una novità che la storiografia contemporanea, tranne alcune lodevoli eccezioni, attribuibili esclusivamente a storiche dalla penna sferzante e dal particolare acume culturale che proviene da competenze di assoluto rilievo, abbia trascurato le vicende occorse nel corso dei secoli dell’era cristiana alle donne e al genere femminile nel suo complesso. In maniera piuttosto colpevole, anzi, ricostruzioni pur apprezzabili hanno declinato gli eventi del mondo antico, moderno e contemporaneo leggendone gli interstizi, le pieghe, le contraddizioni e le linee temporali più o meno lunghe attraverso le spoglie di un implicito carattere maschile.
Una rimozione indotta da un criterio, diffuso e ritenuto ovvio, di interpretazione dei fatti storici ha contribuito a riproporre senza sosta un “ordine del mondo” descritto unilateralmente, attribuendo dunque agli uomini un ruolo di sostanziale presenza e predominanza che prescinde in toto dal coinvolgimento delle donne, tutt’al più pallidi cospetti in un corso della storia dove non c’è spazio per loro, e quando esso esiste è quello della subordinazione.
L’Occidente cristiano – volgendo lo sguardo a questa parte del pianeta senza dimenticare che molto si potrebbe dire dell’atteggiamento assunto anche a Oriente nei confronti delle donne – ha inteso dar luogo a una narrazione incentrata su paradigmi socio-culturali, e persino scientifici, all’interno della quale il genere femminile viene, con esecrabile automatismo, sussunto in pratiche discorsive che lo trasformano in rappresentazione surrettizia dell’unico racconto possibile, le res gestae dell’uomo artefice del destino della propria specie, patriarca autoreferenziale, e decisamente aggressivo, all’interno di un modello di evoluzione antropologica invasivo e onnipresente, e di per sé insostituibile.
Silvia Federici propone in questo saggio densissimo e affascinante, una rilettura critica del passaggio dal feudalesimo alla prima società capitalista e della formazione del proletariato moderno, ripercorrendone le tappe significative a partire da corposi riferimenti bibliografici, come dimostrano le oltre trenta pagine a fine volume in cui troverete segnate in dettaglio le fonti utilizzate, che, per quanti hanno dimestichezza con l’argomento o perlomeno con alcuni dei testi essenziali citati dall’autrice, ricompongono uno scenario interpretativo noto agli studiosi, se non fosse che lo sguardo prospettico viene rovesciato o perlomeno intercettato da un’altra angolazione.

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