Scuola e controllo sociale ai tempi del Covid

[intervento letto ad un incontro contro il Green Pass a Firenze sabato 12/2/22]

Nel mio intervento parlerò ovviamente di scuola, quella scuola pubblica e gratuita che è stata sicuramente una grande conquista, garanzia di formazione per tutti i ragazzi indipendentemente dalla loro condizione sociale ed economica. Una scuola pubblica che dovrebbe offrire un ambiente idoneo alla crescita personale e allo sviluppo di una coscienza critica ma soprattutto essere un luogo inclusivo e di sana socialità.

Bene che cosa è rimasto di questa scuola?

L’imposizione di questa “emergenza pandemica” non ha fatto altro che mettere a nudo le sue forti criticità e invece di cogliere l’occasione per eventuali miglioramenti si è dato l’affondo finale. Si sarebbe potuto per esempio risolvere il problema annoso delle classi sovraffollate riducendo il numero degli studenti per classe, invece si è optato per imporre la didattica a distanza con una accelerazione tale da rendere imprescindibile l’uso delle nuove tecnologie e procedere a una digitalizzazione forzata. Per non parlare dei provvedimenti a dir poco grotteschi come i banchi a rotelle, rimasti completamente inutilizzati (ma utilissimi per giocare all’auto scontro) con un enorme spreco di denaro pubblico che poteva essere meglio impiegato, e per il quale nessuno ha pagato e mai pagherà.

Si sarebbe potuto rafforzare il senso di comunità e di auto aiuto, invece si è acuito il senso dell’istituzione scuola come luogo di disciplinamento dove i ragazzi devono sottostare a ulteriori regole alle quali non si deve assolutamente trasgredire, pena essere tacciato di irresponsabile e cattivo cittadino: distanziamento sociale (definizione che ormai è entrata nel nostro gergo e che già di per sé sarebbe da rifiutare), uso tassativo delle mascherine, (credo che le scuole siano ancora piene di quelle prodotte dalla ex-FIAT, ma adesso si deve soffocare con le Ffp2), entrate e uscite scaglionate, divieto di assembramento anche fuori dall’edificio scolastico, vietato toccarsi, abbracciarsi e anche scambiarsi oggetti. Fine dei lavori di gruppo, fine di un rapporto minimamente empatico con il docente che non può neanche aggirarsi tra i banchi, non ci si incontra nei corridoi, non si fa ricreazione fuori se non in spazi delimitati e assegnati alle singole classi. Insomma le caratteristiche tipiche di un vero e proprio carcere. Un sistema carcere che si estende anche oltre la scuola grazie alla vergognosa misura discriminatoria delle limitazioni agli spostamenti per gli studenti senza super GP, sui mezzi di trasporto pubblici.

Ma veniamo all’inclusione, questo termine tanto sbandierato e che tanti colleghi hanno sempre in bocca, tema privilegiato di educazione civica. Come si fa ancora a parlare di scuola inclusiva dopo il ricatto del “vaccino”? Un trattamento genico, vorrei ricordare, che in particolare nella fascia 6-20 è totalmente inutile, non solo dal punto di vista del contenimento dei contagi, visto che il virus che ha circolato e circola ancora negli istituti scolastici e in generale in tutti gli ambienti frequentati, è palesemente veicolato da chi è vaccinato, e questo ormai non lo può più negare nessuno, ma anche dal punto di vista della protezione da un evolversi critico della malattia, che per bambini e adolescenti presenta un rischio pari a poco più di zero. Un siero inutile, dunque,e senza la minima certezza che sia innocuo nel medio e lungo termine, visto che mancano studi sulla genotossicità e sulla cancerogenicità. Ma la Regione Toscana e Giani non si fanno scrupoli di portare vaccinatori dentro le scuole elementari, e di andarne fieri. Il messaggio che i bambini e i ragazzi hanno ormai interiorizzato è: o ti vaccini o sei fuori dalla società (non vai a fare sport, non vai a mangiare la pizza o al cinema coi tuoi amici….) e siccome sei pericoloso non entri nemmeno in classe. Non solo, anche chi non ha eseguito esattamente altri dettami dello stato rientra in questa logica discriminatoria. L’ultimo vergognoso provvedimento governativo prevede infatti che i non vaccinati, quelli che non hanno completato il ciclo vaccinale con il famoso booster, i guariti o con due dosi ma che hanno superato i 120 giorni dalla guarigione o dall’ultima dose, nel caso in cui ci siano 2 o più casi positivi in classe, se ne devono stare a casa in didattica a distanza.

Insomma se non rientri nei suddetti casi sei uno studente legalmente discriminato, di serie B, uno scarto.

Così come è uno scarto l’insegnante che fino a poco tempo fa veniva in classe a farti lezione e che siccome non ha obbedito alle nuove norme, che di per sé devono essere buone e non si possono mettere in discussione (alla faccia dello sviluppo del senso critico e dell’autonomia di pensiero!) viene “giustamente” allontanato. Poco importa se tu gli volevi bene o era un bravo insegnante. E così la scuola espelle dal suo corpo questi pochi ma significativi “bubboni”, non perché non sappiano fare il loro lavoro o non ne abbiano i titoli, ma semplicemente perché non hanno un lasciapassare, fondamentalmente perché non hanno obbedito, perché di questo si tratta. Il gp è uno strumento politico discriminatorio e di disciplinamento che non ha niente a che vedere con una misura sanitaria, perché questo ormai è sotto gli occhi di tutti. Quindi dov’è il senso di questa misura?

All’insegnante sospeso per nessuna colpa è negato ogni emolumento, perché sia chiaro che si tratta di una punizione contro i renitenti: niente assegno familiare o alimentare, che invece spetta a chi viene sospeso per motivi disciplinari, commettendo un reato.

Il senso è che siamo in una fase storica in cui gli stati fantoccio falsamente democratici, hanno bisogno di sudditi, non di liberi cittadini, e noi che resistiamo, quei pochi insegnanti che non hanno ceduto, siamo delle mine vaganti, non solo perché disobbediamo ma perché forse saremmo gli unici a continuare a fare scuola sul serio e a far passare messaggi non accettabili dal sistema.

Un sistema che si trova in una crisi profonda, che viene da lontano, la cui prima manifestazione evidente la possiamo far risalire alla crisi finanziaria del 2007. I tentativi di assestamento che ci sono stati in questi anni non hanno dato alcun frutto, prova ne è la stagnazione economica e la progressiva espulsione dal mondo del lavoro di larghe fette della popolazione andando ad allargare inesorabilmente disagio sociale e scontento. In questo contesto la pandemia (vera o presunta, ma questo è ininfluente) con le misure restrittive ad essa connessa, cade, come si suol dire a fagiolo: da una parte si coglie l’occasione per spingere i settori trainanti che danno ancora margini importanti di profitto (in primo luogo la farmaceutica, che oltre tutto vola in borsa, il digitale e l’e-commerce) e allo stesso tempo si tagliano i rami secchi e improduttivi costituiti dalla piccola e media impresa, che verrà successivamente fagocitata dalle grandi multinazionali, dall’altra le dure restrizioni imposte forniscono la risposta necessaria per tenere sotto controllo il crescente e prevedibile disagio sociale prodotto dalle chiusure di imprese e dalle ulteriori perdite occupazionali, dall’aumento dei prezzi , ecc.

Ed ecco che anche la scuola deve assolvere il suo compito: contribuire a sfornare bravi cittadini (o sudditi), ligi al dovere che credono nella bontà di uno stato che li protegge e se qualcosa va storto, se per esempio uno studente perde la vita durante lo stage di alternanza scuola lavoro e osano manifestare il loro dissenso, vengono subito messi a tacere con la forza e rimessi al loro posto.

Ma tutto questo in realtà non è che il risultato di un lungo processo, di anni di riforme di una scuola che ha sempre più la fisionomia di una azienda il cui dirigente si preoccupa in primo luogo di far quadrare i conti, del numero degli iscritti, della vetrina dei progetti assegnati, di non avere ricorsi, dove è aumentata a dismisura la burocrazia e le riunioni inutili che sottraggono tempo alla didattica, e in cui gli insegnanti si sono abituati sempre più ad essere dei semplici funzionari più che educatori.

Quello che vorrei dire per concludere, e uscendo anche dal contesto scolastico, è che quello che stiamo vivendo non è che la forma estrema di ciò che c’era già ma che non appariva in tutta la sua tragicità. La pandemia, come una voluta cartina di tornasole, ha messo a nudo la violenza del sistema e ci ha costretto a prendere posizione, a resistere per esistere. Adesso sta a noi cogliere l’occasione per combatterlo, uscirne e creare finalmente un mondo nuovo che sappia garantire quanto di umano stanno cercando di toglierci: giustizia, solidarietà, fraternità, uguaglianza, spiritualità e gioia di vivere.

Sonia Bibbolino

Dentro la bolla

Pubblichiamo questa lettera/testimonianza di Renata Fontanella. Renata, come molti ultimamente, ha dovuto subire il calvario del covid, sia fisicamente che moralmente. Non essendo vaccinata, chiunque infatti si può sentire in diritto di rimproverare le persone come lei addebitando loro le colpe praticamente di tutto (meccanismo purtroppo tragicamente noto, questo, nella storia dell’umanità), abdicando di fatto ad ogni spirito critico e capacità di ragionamento autonoma. Tutto quello di strano e non spiegato che sta dietro la vicenda “covid” viene cancellato con un colpo di spugna, ogni possibilità di cura diversa dalla vaccinazione di massa irrisa e dichiarata aprioristicamente inefficace, ogni pensiero che sollevi anche solo una perplessità, demonizzato e crocifisso all’istante, e chi dubita definito immediatamente con qualche appellativo infamante. Non è il caso di entrare nel dettaglio, di provare qui a capire per esempio se la vaccinazione diffusa sia consigliabile durante le epidemie, oppure non sia essa stessa un’arma a doppio taglio (così come il famoso “green pass”), che favorirebbe l’emergere delle varianti, come sostiene una certa scolastica epidemiologica,1 oppure se i problemi di “affollamento” degli ospedali dipendano dalla “stolidità” dei cosiddetti “no vax”, o dai feroci tagli alla sanità pubblica fatti negli ultimi decenni da tutti i governi, centro-sinistra o -destra che fossero, o se gente come Brunetta o Draghi possa insegnarci qualcosa e farci persino la morale, infine quale sia la scienza “buona” e quella “cattiva”, e soprattutto chi decida questo gioco delle parti e in che direzione. Tutte domande ed osservazioni che lasciamo qui in sospeso ma che dovrebbero, speriamo e crediamo, occupare molto spazio di riflessione nel prossimo futuro.
Buona lettura

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Accade che un giorno, mentre stai programmando il tuo tempo, quel tempo si debba fermare.
In casa tua c’è un positivo al covid.
Da quel momento entri dentro quella bolla che ti isolerà per un lungo periodo dai contatti umani.
Il medico di base ti consiglia un tampone dal quale risulti ancora negativa.
Però stai male.
Ancora il medico ti fornisce assistenza al telefono, ti consiglia antinfiammatori, antibiotico,
vitamine…
Non è possibile una visita domiciliare, sei “dentro la bolla”, puoi infettare, puoi trasmettere il virus…
La notte successiva ti senti male, vomito, febbre, non sai cosa fare.
La persona che convive con te, tuo marito, sta anche peggio.
Ricontatti il medico.
Tramite lui vieni contattata dal personale Usca.
“Signora come sta?”
“Molto male, vomito continuo.”
“ Se ha la patente vada in auto a fare un tampone”
“Come? – domando io – Ma se non mi reggo in piedi come faccio?”
A quel punto i familiari contattano una ambulanza che mi porta al pronto soccorso covid.
La stessa soluzione anche per mio marito.
Troviamo personale preparato, fanno le analisi tempestivamente.
Positiva al covid.
Per accompagnarmi ad eseguire la tac polmonare chiamano una addetta Oss.
Di questi tempi, la domanda è ormai di consuetudine: -“È vaccinata? -“No” -“Brava!”
L’addetta a questo punto si sente autorizzata ad insultare : “Vi dovrebbero rinchiudere per un anno, siete voi, no vax, che infettate tutti!”
Tento di difendermi da tanta cattiveria, tra l’altro subita durante una notte per me difficile, le chiedo perché si permette di chiedere questo, visto che lei non fa neppure parte del personale infermieristico.
Mi risponde che è comunque doveroso chiederlo, lo fanno perfino davanti alla salita dell’autobus, richiedendo l’esibizione del green pass.
A quel punto chiama le infermiere e parlottano contro chi non si vaccina.

Siamo arrivati a una divisione netta tra le persone, ben fomentata dai media in un mantra costante, purtroppo.
Invece di aiutarci a superare tutti insieme questi mesi difficili, è stata creata la strategia della “caccia ai colpevoli”, una assurda divisione tra chi sostiene il pensiero unico e coloro che invece chiedono rispetto della Costituzione invocando la libertà di scelta.

Eseguita la tac vengo accompagnata in reparto con il referto: “Polmonite da Sars”
Entro così realmente dentro “la bolla”, come è chiamato il reparto Covid.
È una realtà che accomuna i pazienti in patologie e terapie simili, mai accaduto, credo, in altri reparti.
Le cure sono le stesse, così come le ansie, il guardare il saturimetro, consultare gli altri pazienti…
Perché si finisce in reparto?
Perché non sempre le cure domiciliari sono ottimali. Oppure per l’aggravamento delle patologie.
Il personale sanitario è molto preparato e professionale, attento alle esigenze di tutti i pazienti.
È protetto da tute sanitarie plastificate usa e getta, il viso quasi non riconoscibile, brilla solamente lo sguardo, più o meno dolce.
Mi sembrano statuine di gesso, bianche o celesti a seconda della mansione.
Le immagino parte di un presepe vivente, un presepe costante che non conosce soluzione di continuità.
È la nuova ‘normalità’.
Ammiro la loro presenza costante, il loro impegno svolto con professionalità.
Al paziente chiedono se è vaccinato, giusto, serve loro a formulare la storia clinica di ognuno, alcuni però ti chiedono anche il motivo, altri, pochi per fortuna, se manifesti un po’ di timore, aggiungono: “ci potevi pensare prima di arrivare qui”.
Dopo cinque giorni, fatta la terapia monoclonale, fatto il supporto di ossigeno e le varie terapie del caso, verificato che l’emogas, cioè l’ossigenazione del sangue va bene, vengo riportata a casa. Mio marito, più grave, resta ancora qualche giorno per la terapia con l’ossigeno.

In reparto covid mi sentivo in qualche modo protetta, seguita, non sola.
Arrivata a casa ho avuto la sensazione di essere di nuovo “ai domiciliari”, più isolata, ancora contagiosa quindi senza possibilità di comunicare.
Nessun sanitario viene a controllare la tua situazione clinica.
Solo contatti telefonici, comunque dopo aver verificato dal colloquio che “stai bene”.
Questa è la sensazione che avvolge i malati covid: entri dentro una bolla, immaginiamola d’aria, in isolamento totale per tanti giorni, non puoi comunicare, devi trovare chi può essere disponibile a lasciare il cibo alla porta…Non puoi uscire dalla bolla, nessuno può entrare nella bolla…
Finché la bolla non scoppia, finché risulti positivo al Covid, finché non passano 21 giorni dal primo tampone…
Se sei fortunato ne esci bene .
Se sei fortunato la bolla esaurisce la propria vitalità senza creare danni alle persone.

Concludo con un grande plauso ai medici di base come Erminia Ferrari della provincia di Brescia. Ha curato i pazienti casa per casa, non li ha lasciati soli, la presenza rassicurante del medico è molto importante, la cura domiciliare al paziente va attivata fin da subito.
Se vengono superate le barriere mentali, vengono attivate le cure domiciliari.

Spero di essermi spiegata e ci tengo a fare un appello: “Torniamo umani!”

Salute a tutt*

Renata Fontanella

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Note:
1: cf per esempio https://www.affaritaliani.it/coronavirus/garavelli-nel-picco-epidemico-non-si-vaccina-ora-lo-dice-crisanti-736684.html e per contrasto questo https://www.open.online/2021/07/08/covid-19-rapporto-vaccini-varianti/. Qui invece un interessante articolo sugli effetti avversi https://www.fondazionehume.it/wp-content/uploads/2021/11/Articolo_effetti_avversi-85.pdf. Riguardo al Green Pass è invece oramai acclarato che molti, forti della presunta protezione fornita da questo dispositivo, hanno di fatto veicolato in modo capillare il covid nelle sue molteplici varianti