Il discorso dominante del virus

La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.

George Orwell, 1984

L’emergenza del virus ha portato con sé anche un discorso dominante, creato dal potere e diffuso dai suoi più svariati servitori mediatici: i telegiornali, i giornali e tutte le diramazioni create dalla Rete. Tale discorso dominante parla della verità o, meglio, di ciò che è giusto, di ciò che è bene. Una caratteristica di questo discorso è infatti quella di essere contrapposto, quasi in forma manichea, a ciò che viene definito come male, come sbagliato. Da una parte c’è il bene, dall’altra c’è il male. Anche un bambino di quattro anni capirebbe che non può funzionare così, non deve funzionare così. Il discorso dominante funziona invece come un blocco monolitico al quale non ci si può contrapporre se non si vuole cadere vittima della pratica dell’interdetto e del divieto.

Come nota Michel Foucault ne L’ordine del discorso, pressoché in tutte le società esistono “narrazioni salienti che si raccontano, si ripetono, si fanno variare; formule, testi, insiemi ritualizzati di discorsi che si recitano, secondo circostanze ben determinate; cose dette una volta e che si conservano, perché vi si presagisce qualcosa come un segreto o una ricchezza”.1 Tali narrazioni possono benissimo essere rappresentate, nelle società antiche, dai racconti mitici e dai miti in generale. Nella società contemporanea, in cui la parola mitica in senso proprio è stata completamente rimossa, quegli stessi racconti mitici del passato hanno assunto le vesti di una vera e propria nuova ‘mitologia’, quella della società dei consumi. All’interno di essa, fin dall’avvento dei media di massa, il mito viene infatti sostituito dalla narrazione mediatica e mediatizzata, quella riferita dai telegiornali e dai giornali e, adesso, anche dalle più diverse diramazioni di Internet (dai social ai blog). Ma cosa afferma, di preciso, il discorso dominante del virus? Afferma, innanzitutto, la sua pericolosità assoluta, senza alcuna distinzione (in base ai luoghi o all’età delle persone, per esempio) o discussione e l’assoluta necessità di distanziamento sociale. In seguito a ciò, i governi hanno assunto diverse misure per mettere in pratica il cosiddetto lockdown.

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Coprifuoco nella nebbia

Jack e Gilbert mi avevano avvertito: stai attento perché a Londra, sulla Terra, è in vigore il coprifuoco. Eravamo nella stazione commerciale di J 24, il satellite di Mercurio, e stavamo sorseggiando un’ottima birra al cristallo di salgemma plutoniano. Sul Regno Unito d’Europa governava re Dragone II, il quale aveva varato una serie di leggi inique, finalizzate soltanto alla sopravvivenza del sistema economico europeo, che stava probabilmente esalando gli ultimi respiri. Formalmente, il coprifuoco era ancora in vigore per contrastare gli estremi effetti di un’epidemia marziana di decenni prima. Anche se, effettivamente, della pestilenza proveniente dal Pianeta Rosso non vi era più alcuna traccia, il Regno si era chiuso in una politica autoritaria, formata da un vero e proprio stato di polizia. Jack, soprattutto, mentre sbevazzava il suo bicchiere di birra, sottolineava il fatto che lui mai e poi mai si sarebbe recato in Europa e a Londra in particolare. Sulla Terra, se ne sarebbe andato nei porti di Singapore, Cape Town, Hong Kong, Nuova Venezia – interamente ricostruita in acciaio mentre la vecchia Venezia era ormai sprofondata a centinaia di metri sotto il mare – ma mai a Londra. Tanto più – diceva – c’è sempre un nebbione da tagliare con il coltello. “Ma io” – ribattei – “devo andare a Londra, per cui mi farò imbarcare sulla prossima nave in partenza per l’Europa, so che hanno bisogno di un marinaio esperto di rotta stellare cerebroguidata”. Eh sì, era la mia specialità, avevo costruito la mia carriera di navigante sulla capacità di utilizzare le mie cellule cerebrali per coadiuvare le rotte dei veicoli commerciali. Gilbert, sorseggiando la sua birra lunare di prima qualità, mi disse di stare attento, a Londra, a Re Peste, che pare si aggirasse nella notte, incurante del coprifuoco, nei vicoli più malfamati della città.

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L’altra faccia della paura

Una narrazione quasi personale.

Il piccolo voleva nascere, entrare anche lui nel mondo reale, uscire dal caldo abbraccio della placenta materna. Nascere.
La mamma aveva avvertito le prime contrazioni, le acque si stavano per rompere – come si dice in gergo.
Alla notizia, ho sentito una emozione indescrivibile, ho pianto.
Nella stessa casa, 35 anni prima, ho avuto lo stesso avvertimento, nella stessa stanza…allora stava per nascere il mio secondo figlio.
Questo primo nipote è nato tre giorni dopo, all’ospedale di Cecina il giorno 11 marzo 2020. Gioia immensa, ma paura di non poterlo abbracciare, almeno per il momento. Così è stato.
Questa data, per la mia famiglia, è diventata molto importante, mentre per la nostra realtà, per tutto il mondo, è una data che ci ha avvolti in un cerchio infernale, dentro la PAURA.
Paura innescata dall’allerta, dai media, dai giornali, dalle immagini di bare…di intubazioni…di sofferenze estreme…di morte!
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Se non mi vaccino, io sono confine

Il mio mestiere è attraversare frontiere

John Graham Ballard, Cocaine Nights

Shahram Khosravi, antropologo di origine iraniana, nel suo saggio dal titolo Io sono confine, analizza il concetto di “confine” focalizzandosi sulla sua esperienza personale di profugo in fuga dal regime che, nel suo paese, negli anni Ottanta imponeva il reclutamento forzato in una sanguinosa guerra contro l’Iraq. I confini e le frontiere, secondo Khosravi, producono nuove soggettività segnalando che chi sta dall’altra parte “è diverso, indesiderato, pericoloso, contaminante, persino non umano”.1 I migranti “senza documenti e i clandestini che violano i confini sono contaminati e contaminanti proprio in quanto non classificabili”.2 Il sistema politico che regola le frontiere crea un essere umano a sua volta “politicizzato” per cui coloro che non sono in possesso dei documenti – i richiedenti asilo apolidi e i migranti irregolari – si trasformano in veri e propri scarti dell’umanità, dei corpi privi di qualsiasi dignità sui quali è lecito infierire con le più terribili violenze.

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