Intervista a Fabio Vighi

Offline: A seconda dei punti di vista, se cioè favorevoli o sfavorevoli al sistema, si parla ultimamente – riferendosi al futuro (anche molto prossimo, praticamente presente) – di distopia o utopia (digitalizzazione, città 15 minuti, credito sociale, intelligenza artificiale etc). A tuo parere, verso quale direzione ci stiamo avviando? Rimanendo inalterata la struttura sociale di fondo, dove approderemo? Quali sono i destini del nostro mondo, fra 100, 500, 1000 anni, domani? Ti chiediamo questo perché crediamo che, nonostante tutto, forse non è scontato che si finisca nel baratro, sociale o ecologico che sia – o almeno non tutti, e non nello stesso modo. Il sistema potrebbe in qualche modo riuscire a mantenere uno standard di sopravvivenza, qualitativamente basso (anche molto basso) per molti e alto (anche molto alto) per pochi, e chi sta sotto, resta sotto (magari ipercontrollato, con tecnologie di ultima generazione e molto efficaci) e chi sta sopra, resta sopra, continuando a fare quella dorata vita idiota cui sembra aspirare e devastando il mondo quanto più possibile. Qual è la tua opinione al proposito?

Fabio Vighi: Penso che stiamo vivendo un lento collasso socioeconomico accompagnato da vari fantasmi escatologici, che serviranno a renderlo più appetibile, per così dire. Il fantasma escatologico, cioè la minaccia di un evento cataclismico capace di azzerare o quasi la vita umana, è incluso nel prezzo che ci fanno pagare, fa parte del gioco. Questo dovrebbe averci insegnato la psico-pandemia. Più diventeremo schiavi del capitalismo dell’ultra-finanza, specie a livello di indebitamento, più continueranno a sbocciare visioni di tipo distopico-apocalittico. Sembra quindi inutile speculare su quando o come finirà il capitalismo, perché ogni fantasma della fine è incorporato nel sistema, così come lo è nella cinematografia hollywoodiana. Il fantasma escatologico è pura deterrenza. Serve a indorare la pillola dell’inevitabile stagnazione e imbarbarimento della civiltà capitalistica. Ciò non significa che non si finisca nel baratro – gran parte dell’umanità è già nel baratro. Significa piuttosto che per potersi auto-alimentare il capitalismo di crisi ha bisogno di proiettare nel futuro prossimo, sempre dietro l’angolo, l’immagine della (propria) catastrofe. Questo paradossale stratagemma, che un tempo avremmo definito “ideologico”, potrebbe mantenere il capitalismo in vita artificiale ancora per molto tempo. Effettivamente potremmo definire questo stratagemma una “ideologia escatologica”, che ben si abbina alla crisi finale del sistema capitalistico.
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Film da non vedere: “C’è ancora domani”, di Paola Cortellesi

Recensioni entusiaste, elogi sperticati di amiche ed amici, voci che rimbalzano per ogni dove… siamo incuriositi a tal punto che ci siamo decisi: andiamo anche noi a vedere questo mitico film, quello della Cortellesi, “di cui tutti parlano”.
“Fusse che fusse…” e ci trovassimo di fronte ad un film che rompe gli schemi ed esce finalmente dai binari del conformismo lecchino e complice, della commediola soporifera e vuota e della soap opera inguardabile e avvilente che intasano i nostri schermi. Andiamo, dunque! Il cinema è persino a cinquecento metri da casa, tutto torna, gli dèi sono con noi, sarà un film bellissimo (o almeno interessante).
Passano due ore (qualcosa in più, a causa del martellamento pubblicitario che precede il film, che non ci molla neanche in questa occasione, figuriamoci…) ed eccoci fuori. Cos’è successo nel frattempo? Se può interessare, ecco le nostre impressioni:
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Libertà – nessuno è illegale

Questo bel messaggio appare, unito ad altri dello stesso spessore, davanti all’ingresso del porto mediceo di Livorno.
Apprezzo molto l’iniziativa, come sempre organizzata da quel gruppo di persone sensibili ai problemi etici.
Da coloro che costantemente monitorano quanto avviene nei nostri mari, nei nostri porti, nei luoghi di lavoro, nell’accoglienza dei migranti e nella tutela degli “ultimi” …
Vorrei però aggiungere e dedicare un pensiero a completare il concetto di “Libertà”
Libertà è anche tutela della persona umana, senza distinzione, del rispetto delle scelte etiche.
Libertà di vivere senza restrizioni e/o soprusi 
Invece abbiamo visto come la parola sia stata calpestata insieme ai diritti della persona, abbiamo visto lavoratori in fila per poter lavorare (leggi tampone), persone allontanate da negozi, teatri, biblioteche e altri luoghi di cultura.
In seguito pure allontanate dai luoghi di lavoro.
Semplicemente perché non possedevano la “tessera verde”
Vorrei ritrovare la Libertà perduta, vorrei ripercorrere insieme a quel Popolo sensibile le strade che ci accomunano.
Senza divisioni.
Senza discriminazioni.
Allora potremmo portare con orgoglio i nostri striscioni e le nostre scelte etiche.

Renata Fontanella, Livorno 23/12/22

“L’isola”

A questa voce di solito corrisponde un luogo vacanziero, lontano, in mezzo al mare, quindi raggiungibile soprattutto con mezzi di navigazione.
L’isola evoca momenti di spensieratezza, di viaggi in mezzo alla natura selvaggia, escursioni tra terra e mare, conoscenza di persone nuove, di luoghi incontaminati…
Gli abitanti vengono definiti isolani.
Cosa diversa se si tratta invece di un luogo mentale, divisorio, reso tale da un connubio di criticità agite da una epidemia.
Si diventa isolati.
Perchè scrivo questo?
Dopo il mio secondo isolamento da covid e dopo il periodo di pandemia mentale che stiamo vivendo, espongo alcune considerazioni.
Prima di tutto, dopo mesi vissuti in contesti difficili, ho capito quanto noi,popolo resistente (che resiste per esistere), che non accetta dittature sanitarie o quant’altro venga imposto dal potere, ebbene, noi veniamo discriminati, perciò ‘isolati’.
Non per questo subiamo le prepotenze, anzi, ripudiamo le violenze altrui e tentiamo un dialogo che possa farci tornare in contesti condivisi.
Tornando al mio nuovo isolamento, ho riflettuto su varie tematiche.
Questi sono i miei dubbi e/o considerazioni.
-Quanto dura il periodo nel quale un individuo infettato dal virus è effettivamente contagioso?
-Perché deve rimanere isolato fino alla famosa negatività?
-Come mai in poco più di un anno l’isolamento è stato gradatamente ridotto, da un mese a ventun giorni, a dieci giorni, a cinque giorni… È vero che il virus è mutato, ma i parametri sono stati molto ridotti. Questo significherebbe che comunque si potrebbe giungere a isolamento zero?
-Perché solo per l’infezione da Covid vengono utilizzate queste formule così ansiose di tutela verso l’altro, quando invece per patologie più gravi (ma evidentemente non ritenute così invasive) non esiste profilassi adeguata?
-Anni fa ho visto morire in poche settimane una vicina per il morbo della “mucca pazza”, eppure non è stata fatta né disinfezione, né profilassi verso i condomini.
-Esiste soprattutto e solo il Covid? È diventato un business?
Torno all’aspetto pratico dell’isolamento.
Giorni, ore, settimane…momenti infiniti di isolamento che appaiono ancora più difficili da chi ne è coinvolto.
Ogni giorno spera sia l’ultimo, ma ahimè, il tampone ancora positivo dice di no.
Ti senti osservato se ti affacci al balcone, ti senti portatore di virus e spiato se scendi a conferire la spazzatura, insomma, ti senti “colpevole” di qualcosa che non hai commesso ma che ti è arrivato addosso come un castigo.
Speri di non aver bisogno di aiuto medico, non potresti essere curato, sei contagioso, nessuno può avvicinarsi alla tua persona.
Sei i s o l a t o!
Sogni un altro mondo possibile, un’altra isola felice e raggiungibile, sogni una vita semplicemente normale.
Riuscirai a raggiungere l’isola dei tuoi sogni, riuscirai a liberarti dalle catene, riuscirai a sconfiggere il Male?
Sarai finalmente i s o l a n o!
Salute!
Renata Fontanella Li 26/9/2022

Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria

Recensione a Silvia Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, 2020, pp. 343, euro 28.

Non è una novità che la storiografia contemporanea, tranne alcune lodevoli eccezioni, attribuibili esclusivamente a storiche dalla penna sferzante e dal particolare acume culturale che proviene da competenze di assoluto rilievo, abbia trascurato le vicende occorse nel corso dei secoli dell’era cristiana alle donne e al genere femminile nel suo complesso. In maniera piuttosto colpevole, anzi, ricostruzioni pur apprezzabili hanno declinato gli eventi del mondo antico, moderno e contemporaneo leggendone gli interstizi, le pieghe, le contraddizioni e le linee temporali più o meno lunghe attraverso le spoglie di un implicito carattere maschile.
Una rimozione indotta da un criterio, diffuso e ritenuto ovvio, di interpretazione dei fatti storici ha contribuito a riproporre senza sosta un “ordine del mondo” descritto unilateralmente, attribuendo dunque agli uomini un ruolo di sostanziale presenza e predominanza che prescinde in toto dal coinvolgimento delle donne, tutt’al più pallidi cospetti in un corso della storia dove non c’è spazio per loro, e quando esso esiste è quello della subordinazione.
L’Occidente cristiano – volgendo lo sguardo a questa parte del pianeta senza dimenticare che molto si potrebbe dire dell’atteggiamento assunto anche a Oriente nei confronti delle donne – ha inteso dar luogo a una narrazione incentrata su paradigmi socio-culturali, e persino scientifici, all’interno della quale il genere femminile viene, con esecrabile automatismo, sussunto in pratiche discorsive che lo trasformano in rappresentazione surrettizia dell’unico racconto possibile, le res gestae dell’uomo artefice del destino della propria specie, patriarca autoreferenziale, e decisamente aggressivo, all’interno di un modello di evoluzione antropologica invasivo e onnipresente, e di per sé insostituibile.
Silvia Federici propone in questo saggio densissimo e affascinante, una rilettura critica del passaggio dal feudalesimo alla prima società capitalista e della formazione del proletariato moderno, ripercorrendone le tappe significative a partire da corposi riferimenti bibliografici, come dimostrano le oltre trenta pagine a fine volume in cui troverete segnate in dettaglio le fonti utilizzate, che, per quanti hanno dimestichezza con l’argomento o perlomeno con alcuni dei testi essenziali citati dall’autrice, ricompongono uno scenario interpretativo noto agli studiosi, se non fosse che lo sguardo prospettico viene rovesciato o perlomeno intercettato da un’altra angolazione.

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“Il capitale mondo”: sguardo su globalizzazione, complottismi e dintorni

È uscito, per le edizioni Meltemi, un importante libro di Robert Kurz, Il capitale mondo. Per una sintetica presentazione del testo e della sua storia, rimandiamo all’introduzione, dove vengono tratteggiati velocemente anche temi e motivi di fondo.

In questo articolo vorrei invece sottolineare come, in un periodo travagliato quale quello che stiamo attraversando, il libro di Kurz rappresenti un raro tentativo, a mio avviso riuscito, di spiegare la crisi mondiale in modo lucido e ben argomentato, evitando derive cospirazioniste o destrorse, oggi così di moda.

Kurz, sulla scorta della teoria critica del valore, corrente di pensiero di cui ha rappresentato e rappresenta ancora la mente più brillante, riesce infatti a dare un quadro coerente di una serie di fenomeni che nei nostri tempi affranti sconcertano i più, fenomeni che scombinano le coordinate e provocano spesso grande confusione, anche teorica (solo per fare un esempio, la difficoltà di riconoscere oggi cosa sia sinistra e cosa destra, addirittura se questa distinzione abbia ancora senso).

Questo caos non creativo confluisce spesso in interpretazioni del reale che hanno un che di surreale, letture che immaginano grandi complotti e grandi manovratori i quali, da qualche luogo non ben definito ma immancabilmente sinistro e cupo, decidono delle sorti del mondo e dei suoi abitanti.

Sia chiaro: non mancano luoghi e organizzazioni, spesso statuali, dove effettivamente si decide su questioni o aspetti rilevanti per la sorte di ognuno di noi. Ma un conto è riconoscere dietro a tutto questo, come fa appunto Kurz, il movimento del sistema del capitale, che tesse una ragnatela di dispositivi insieme repressivi e normalizzanti al fine di mantenere in vita se stesso e le condizioni della propria esistenza, ed al tempo stesso riconoscere il “funzionariato” che – di fatto – ne rappresenta la manovalanza, un conto pensare che ci siano élite ben identificabili, particolarmente perverse e maligne, che complottano per lo sterminio di due terzi dell’umanità o tramano per inserirle un chip sottocutaneo, o che altro, e che siano esse l’origine di tutti i nostri mali – per cui sparite quelle, sparito il male.

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The Truman show

[intervento letto ad una manifestazione contro la guerra, contro Draghi e la politica delle emergenze e contro il Green Pass a Livorno sabato 2/4/22]

Penso che molti di noi abbiano visto il film The Truman show. Il film, riassumendo in poche parole, ci presenta la storia di un uomo che vive in un enorme studio cinematografico e tutto intorno a lui è fittizio: ambiente, persone, affetti, amici, costituiti da attori di una serie televisiva. Il problema è che crede che quella sia la realtà finché un giorno non scopre la verità.
Ecco, in questi ultimi tempi mi è capitato molte volte di pensare a questo film e di avere la netta sensazione di vivere, come il suo protagonista, in un mondo preconfezionato, dove però non esistono attori consapevoli di star interpretando una parte, bensì tanti Truman ignari di star vivendo una vita telecomandata che non è la loro. Ma se nel film chi dirige è un regista che crea intorno al protagonista una realtà gradevole, “perfettina”, con tutte le comodità desiderabili da un buon borghese, qui non c’è un regia, ma una potente macchina costituita prevalentemente dai mezzi di comunicazione e la realtà che ci confeziona non è neanche rassicurante ma dominata dalla paura, per contenere la quale si danno anche le ricette adeguate: basta seguire ciò che ci dice la grande macchina, le regole stabilite, non farsi troppe domande, non insinuare il dubbio perché se seguiamo la falsa verità che ci viene propinata non avremo problemi, saremo salvi. E allora se l’unica soluzione per sopravvivere al pericoloso virus che si è diffuso è sperimentare sul proprio corpo un farmaco di dubbia efficacia e sicurezza, ben venga, poco importa se mi ammalo lo stesso e potrei comunque finire all’ospedale, intanto ho compiuto il mio dovere di bravo cittadino, mi assicuro il posto di lavoro e non prendo multe grazie al mio super green pass che inoltre mi apre magicamente le porte di qualsiasi luogo, preservandomi il diritto alla vita sociale, allo sport, alla cultura e al divertimento. Ed è giusto così perché io ho il senso del dovere, sono responsabile e mi sento utile e in pace con me stesso. Ma come tutte le macchine, anche questa non è perfetta e appaiono le prime disfunzioni, chi resiste insinua dei dubbi e molte verità nascoste dal sistema mediatico cominciano ad affiorare. Chi vive dentro il grande inganno non vuole pensare, non vuole accettare le contraddizioni, le incongruenze anche quando sono sotto gli occhi di tutti, vedi il flop vaccinale e la assoluta inutilità del green pass come forma di contenimento della diffusione del virus. Il meccanismo fornito al bravo cittadino per l’“autodifesa” è semplice: chi non segue il pensiero dominante, è fuori di testa, è un complottista. Ma non è più abbastanza efficace, la pandemia ha fatto il suo tempo e allora, citando il titolo di un interessante articolo di Roberto Pecchioli, Togli mascherina, metti bandierina, finisce un’emergenza ne arriva un’altra: la guerra. Ed ecco a recitare tutti il ruolo di sostenitori dell’Ucraina cioè del Bene, rappresentato da Zelensky, contro il Male personificato invece nel suo nemico Putin, il mostro da annientare. Perché, sempre citando Pecchioli “la macchina globale di diffusione di verità preconfezionate” possiede tutte le verità, che sono semplici, bianco o nero, senza toni di grigio. Poco importa se qualcuno prova a dissentire, facendo presente che Zelensky non è proprio il baluardo della democrazia visto che si ritrova sulla coscienza (anche se lui solo in parte direttamente) la morte di almeno 15.000 persone grazie agli attacchi militari nel Donbass filorusso, che si sono ripetuti in questi ultimi 8 anni, avvalendosi anche di formazioni paramilitari filo-naziste. Se lo fai diventi automaticamente un filo-Putin (così come in epoca di pandemia entravi immediatamente nelle categorie negazionista, terrapiattista, fascista) così come se ti azzardi a fare una banale osservazione basata su una semplice visione realistica: che forse se Putin con le sue forze militari avesse accerchiato qualsiasi paese dell’UE o gli USA così come ha fatto l’alleanza NATO verso la Federazione russa, qualsiasi capo di Stato probabilmente avrebbe reagito così come ha fatto Putin in questa occasione – senza voler con questo giustificare l’aggressione all’Ucraina. Perché questo è il sistema in cui viviamo, dove gli interessi economici vanno ben oltre ogni speranza di pace e dichiararsi contro la guerra sapendo di operare perché si scateni e dire di contribuire alla pace inviando le armi a un paese belligerante è un non senso. Creare i folli fa parte del grande inganno, significa deviare ancora una volta dalla verità e cioè che questo sistema non lo determinano i mostri che esso stesso genera, ma è principalmente il sistema stesso ad essere mostruoso, folle e portatore di morte.
Ma il bravo cittadino che vive nello show non ha orecchie, non può cedere al dubbio e perdere le sue certezze, questo lo destabilizzerebbe e lo riporterebbe in balia della paura indotta, c’è lo Stato che lo tranquillizza e lo protegge, inviando armi perché vinca il Bene, e dandogli un vaccino perché lo salvi dalla morte. La paura è un forte strumento di potere che usa per tenerti in pugno e chi dissente è un pericolo, è un fatto psichiatrico, chi dissente è un fuori di testa.
In realtà colui che dissente è chi non accetta di essere uno dei tanti Truman, di vivere nel grande show dove ognuno degli attori ripete ogni giorno, come un disco rotto, quello che dice la grande macchina, è chi è riuscito squarciare il velo delle menzogne per riuscire a capire dove si nasconde la verità, chi affronta la complessità, chi mantiene l’autonomia di pensiero, chi smaschera l’ipocrisia ributtante di un potere che semina discriminazione (prima con la caccia all’untore poi con la caccia al russo), che si mostra indifferente verso le vittime innocenti dei bombardamenti israeliani o sauditi e poi vomita a profusione una farsesca solidarietà al popolo ucraino, facendo una netta distinzione razzista con quelli “meno civilizzati” come gli iracheni, i siriani o gli afgani…
Chi dissente è chi ha accettato di essere minoranza, che ha rinunciato alla miseria del pensiero binario e alla vita rassegnata ed eterodiretta per assumersi una grande responsabilità: agire per arrivare a strappare finalmente i teloni del Grande Studio Televisivo per riappropriarci del nostro destino in una realtà che non sia finzione, distruggendo la grande macchina, liberandoci definitivamente di chi detiene il potere e una volta liberi porre le basi per una società giusta, senza guerre, veramente solidale e inclusiva, perché a quel punto non sarà più il profitto a comandare ma altri valori.

Sonia Bibbolino

Il “Long covid”

“Long covid”, così è definito il periodo che ti separa dalla malattia contratta dal virus e la completa ristabilizzazione.
Pur guarito dal covid, spesso hai ancora addosso alcuni sintomi, non uguali per tutti: dolori muscolari, mancanza di gusto e olfatto, difficoltà respiratorie, debolezza…
I sintomi fisici li puoi contrastare in qualche modo, consigliato da esperti consapevoli.
In molti casi, purtroppo, è anche presente una intromissione a livello psicologico e/o sociale nella vita del guarito da covid da parte di coloro che detestano i “novax”.
Considero questa mia narrazione un contenitore di storie delle quali sono venuta a conoscenza.
Chissà quante altre storie ci sono, sarebbe un’idea inserirle in questo contenitore.
Intanto comincio a narrare queste…

Irma è una donna appena guarita dal covid, è stata spedalizzata 5 giorni per complicazioni polmonari.
Dopo tre settimane dal primo tampone positivo, e nonostante l’ultimo risulti ancora a bassa carica virale, riceve dall’ufficio del Ministero della salute il certificato di guarigione con allegato il famoso “green pass”.
Guarita, finalmente!
A questo punto si sente libera di riprendere la vita sociale.
Di ricontattare i familiari.
Pensa: “Finalmente a Natale ci ritroviamo!”
Per fare una sorpresa, senza entrare in casa, lascia alla porta della cognata un grande vaso con la stella di Natale.
La sera della vigilia sente suonare il campanello e, con molta gioia, fa entrare in casa la cognata e il fratello, immaginando che si presentino per lo scambio dei regali.
Non è così.
La cognata rimane alla porta, cominciano gli insulti.
“Non sei ancora negativizzata e hai toccato le maniglie della nostra porta, non lo sai quanto abbiamo sofferto per te in questi giorni in cui avevi contratto il covid, non dormivamo dalla tensione, e ora tu non usi precauzioni verso di noi, mentre potresti addirittura contagiarci, non te ne rendi conto?”.
“Noi siamo vaccinati, ma abbiamo paura”.
Irma si sente confusa, umiliata, non avrebbe mai immaginato che un semplice gesto di affetto potesse disturbare la propria serenità appena acquisita.
Aveva usato tutte le precauzioni, non era mai uscita di casa da quando si era ammalata, aveva addirittura disinfettato tutto, dai mobili alle suppellettili…
Il giorno di Natale i familiari le chiedono scusa per i toni usati, non certo per i contenuti che non vengono smentiti.
Irma vive così un Natale molto triste, allontanata dal contesto familiare.
Il motivo?
Essere guarita dal covid ma ancora con bassa carica virale.
Le assurde paure che alcune persone stanno vivendo creano queste disarmonie.
I media fomentano queste paure, creano divisioni tra “noi & loro”, tra chi è per la libertà di scelta e coloro che seguono il pensiero unico e imposto.

Paola è una giovane collaboratrice scolastica che ha aderito alla libertà di scelta per quanto riguarda il siero vaccinale “anticovid”, per questo stava per essere sospesa dal servizio secondo le normative dittatoriali vigenti.
Si è ammalata anche lei di covid e dopo il periodo di quarantena ritorna al lavoro.
Guarita dal covid, quindi legalmente a posto.
Rientrata a scuola, subisce inaspettatamente gli insulti da due colleghe insegnanti.
Secondo loro, non essendosi fatta il siero vaccinale, potrebbe causare ancora contagi, insieme a lei tutti i “novax”.
Volano frasi del tipo: “Vi odio, è tutta colpa vostra se non ci curano, vi odio e lo dico anche ai miei studenti.
Ti manderei in Lombardia a vedere i morti, se stiamo uscendo dalla pandemia è merito nostro, voi causate le varianti…
Da oggi non ti parlo più”.
Siamo arrivati a questo, alla follia, all’odio.
Questi insegnanti, che per etica professionale dovrebbero assumere una posizione neutra in quanto educatori, in alcuni casi, invece, esprimono sentimenti incontrollati.
Per fortuna non tutti sono così, ci sono esempi di insegnanti che purtroppo stanno sacrificando la propria carriera e si fanno ingiustamente sospendere per non cedere al ricatto.
Per dimostrare che la scuola è il luogo dove le parole “Libertà”e “Democrazia” devono essere rispettate e messe in atto.
Insegnanti coerenti con le proprie scelte, educatori con dignità e con principi e valori che non barattano con nessuna dittatura.

Personalmente, anch’io, guarita dal covid, ho avuto a che fare con conoscenti che mi hanno provocata con frasi del tipo: “Ora però ti vaccini, la prossima volta ti ammalerai meno seriamente”.
Oppure: “Mi raccomando,ora userai precauzioni…”.
Le precauzioni sono indirettamente riferite al vaccino, ovviamente.
E ancora: “Voi non vaccinati quando finite in ospedale dovreste pagarvi le cure…”
“Perché – rispondo io – non stiamo pagando tutti noi cittadini i contributi per la sanità? Abbiamo gli stessi diritti…”
Penso che, se non ribaltiamo il paradigma, se non vediamo più il nemico tra di noi, troveremo il giusto equilibrio per una convivenza civile.
Per un Mondo davvero migliore.

Per offrire un respiro di speranza concludo la narrazione con un esempio di persone/conoscenti che sono uscite dalla malattia da covid senza essersi poi fatte coinvolgere dal “long covid” del quale ho trattato.
Considerando lo stato psicologico nel quale si trova il malato, già provato dalla malattia e dall’isolamento, quando ne esce dovrebbe essere trattato con la massima cautela e rispetto.
Tornando a questo gruppo di pazienti guariti, conosciutisi in ospedale nel reparto covid dove erano ricoverati, durante la degenza si sono scambiati i contatti,e una volta guariti si sono ritrovati.
Prima hanno condiviso momenti di paura per la degenza, poi si sono ritrovati in un nuovo percorso di amicizia solidale.

Bravi!

Renata Fontanella, Livorno 14 febbraio 2022

Scuola e controllo sociale ai tempi del Covid

[intervento letto ad un incontro contro il Green Pass a Firenze sabato 12/2/22]

Nel mio intervento parlerò ovviamente di scuola, quella scuola pubblica e gratuita che è stata sicuramente una grande conquista, garanzia di formazione per tutti i ragazzi indipendentemente dalla loro condizione sociale ed economica. Una scuola pubblica che dovrebbe offrire un ambiente idoneo alla crescita personale e allo sviluppo di una coscienza critica ma soprattutto essere un luogo inclusivo e di sana socialità.

Bene che cosa è rimasto di questa scuola?

L’imposizione di questa “emergenza pandemica” non ha fatto altro che mettere a nudo le sue forti criticità e invece di cogliere l’occasione per eventuali miglioramenti si è dato l’affondo finale. Si sarebbe potuto per esempio risolvere il problema annoso delle classi sovraffollate riducendo il numero degli studenti per classe, invece si è optato per imporre la didattica a distanza con una accelerazione tale da rendere imprescindibile l’uso delle nuove tecnologie e procedere a una digitalizzazione forzata. Per non parlare dei provvedimenti a dir poco grotteschi come i banchi a rotelle, rimasti completamente inutilizzati (ma utilissimi per giocare all’auto scontro) con un enorme spreco di denaro pubblico che poteva essere meglio impiegato, e per il quale nessuno ha pagato e mai pagherà.

Si sarebbe potuto rafforzare il senso di comunità e di auto aiuto, invece si è acuito il senso dell’istituzione scuola come luogo di disciplinamento dove i ragazzi devono sottostare a ulteriori regole alle quali non si deve assolutamente trasgredire, pena essere tacciato di irresponsabile e cattivo cittadino: distanziamento sociale (definizione che ormai è entrata nel nostro gergo e che già di per sé sarebbe da rifiutare), uso tassativo delle mascherine, (credo che le scuole siano ancora piene di quelle prodotte dalla ex-FIAT, ma adesso si deve soffocare con le Ffp2), entrate e uscite scaglionate, divieto di assembramento anche fuori dall’edificio scolastico, vietato toccarsi, abbracciarsi e anche scambiarsi oggetti. Fine dei lavori di gruppo, fine di un rapporto minimamente empatico con il docente che non può neanche aggirarsi tra i banchi, non ci si incontra nei corridoi, non si fa ricreazione fuori se non in spazi delimitati e assegnati alle singole classi. Insomma le caratteristiche tipiche di un vero e proprio carcere. Un sistema carcere che si estende anche oltre la scuola grazie alla vergognosa misura discriminatoria delle limitazioni agli spostamenti per gli studenti senza super GP, sui mezzi di trasporto pubblici.

Ma veniamo all’inclusione, questo termine tanto sbandierato e che tanti colleghi hanno sempre in bocca, tema privilegiato di educazione civica. Come si fa ancora a parlare di scuola inclusiva dopo il ricatto del “vaccino”? Un trattamento genico, vorrei ricordare, che in particolare nella fascia 6-20 è totalmente inutile, non solo dal punto di vista del contenimento dei contagi, visto che il virus che ha circolato e circola ancora negli istituti scolastici e in generale in tutti gli ambienti frequentati, è palesemente veicolato da chi è vaccinato, e questo ormai non lo può più negare nessuno, ma anche dal punto di vista della protezione da un evolversi critico della malattia, che per bambini e adolescenti presenta un rischio pari a poco più di zero. Un siero inutile, dunque,e senza la minima certezza che sia innocuo nel medio e lungo termine, visto che mancano studi sulla genotossicità e sulla cancerogenicità. Ma la Regione Toscana e Giani non si fanno scrupoli di portare vaccinatori dentro le scuole elementari, e di andarne fieri. Il messaggio che i bambini e i ragazzi hanno ormai interiorizzato è: o ti vaccini o sei fuori dalla società (non vai a fare sport, non vai a mangiare la pizza o al cinema coi tuoi amici….) e siccome sei pericoloso non entri nemmeno in classe. Non solo, anche chi non ha eseguito esattamente altri dettami dello stato rientra in questa logica discriminatoria. L’ultimo vergognoso provvedimento governativo prevede infatti che i non vaccinati, quelli che non hanno completato il ciclo vaccinale con il famoso booster, i guariti o con due dosi ma che hanno superato i 120 giorni dalla guarigione o dall’ultima dose, nel caso in cui ci siano 2 o più casi positivi in classe, se ne devono stare a casa in didattica a distanza.

Insomma se non rientri nei suddetti casi sei uno studente legalmente discriminato, di serie B, uno scarto.

Così come è uno scarto l’insegnante che fino a poco tempo fa veniva in classe a farti lezione e che siccome non ha obbedito alle nuove norme, che di per sé devono essere buone e non si possono mettere in discussione (alla faccia dello sviluppo del senso critico e dell’autonomia di pensiero!) viene “giustamente” allontanato. Poco importa se tu gli volevi bene o era un bravo insegnante. E così la scuola espelle dal suo corpo questi pochi ma significativi “bubboni”, non perché non sappiano fare il loro lavoro o non ne abbiano i titoli, ma semplicemente perché non hanno un lasciapassare, fondamentalmente perché non hanno obbedito, perché di questo si tratta. Il gp è uno strumento politico discriminatorio e di disciplinamento che non ha niente a che vedere con una misura sanitaria, perché questo ormai è sotto gli occhi di tutti. Quindi dov’è il senso di questa misura?

All’insegnante sospeso per nessuna colpa è negato ogni emolumento, perché sia chiaro che si tratta di una punizione contro i renitenti: niente assegno familiare o alimentare, che invece spetta a chi viene sospeso per motivi disciplinari, commettendo un reato.

Il senso è che siamo in una fase storica in cui gli stati fantoccio falsamente democratici, hanno bisogno di sudditi, non di liberi cittadini, e noi che resistiamo, quei pochi insegnanti che non hanno ceduto, siamo delle mine vaganti, non solo perché disobbediamo ma perché forse saremmo gli unici a continuare a fare scuola sul serio e a far passare messaggi non accettabili dal sistema.

Un sistema che si trova in una crisi profonda, che viene da lontano, la cui prima manifestazione evidente la possiamo far risalire alla crisi finanziaria del 2007. I tentativi di assestamento che ci sono stati in questi anni non hanno dato alcun frutto, prova ne è la stagnazione economica e la progressiva espulsione dal mondo del lavoro di larghe fette della popolazione andando ad allargare inesorabilmente disagio sociale e scontento. In questo contesto la pandemia (vera o presunta, ma questo è ininfluente) con le misure restrittive ad essa connessa, cade, come si suol dire a fagiolo: da una parte si coglie l’occasione per spingere i settori trainanti che danno ancora margini importanti di profitto (in primo luogo la farmaceutica, che oltre tutto vola in borsa, il digitale e l’e-commerce) e allo stesso tempo si tagliano i rami secchi e improduttivi costituiti dalla piccola e media impresa, che verrà successivamente fagocitata dalle grandi multinazionali, dall’altra le dure restrizioni imposte forniscono la risposta necessaria per tenere sotto controllo il crescente e prevedibile disagio sociale prodotto dalle chiusure di imprese e dalle ulteriori perdite occupazionali, dall’aumento dei prezzi , ecc.

Ed ecco che anche la scuola deve assolvere il suo compito: contribuire a sfornare bravi cittadini (o sudditi), ligi al dovere che credono nella bontà di uno stato che li protegge e se qualcosa va storto, se per esempio uno studente perde la vita durante lo stage di alternanza scuola lavoro e osano manifestare il loro dissenso, vengono subito messi a tacere con la forza e rimessi al loro posto.

Ma tutto questo in realtà non è che il risultato di un lungo processo, di anni di riforme di una scuola che ha sempre più la fisionomia di una azienda il cui dirigente si preoccupa in primo luogo di far quadrare i conti, del numero degli iscritti, della vetrina dei progetti assegnati, di non avere ricorsi, dove è aumentata a dismisura la burocrazia e le riunioni inutili che sottraggono tempo alla didattica, e in cui gli insegnanti si sono abituati sempre più ad essere dei semplici funzionari più che educatori.

Quello che vorrei dire per concludere, e uscendo anche dal contesto scolastico, è che quello che stiamo vivendo non è che la forma estrema di ciò che c’era già ma che non appariva in tutta la sua tragicità. La pandemia, come una voluta cartina di tornasole, ha messo a nudo la violenza del sistema e ci ha costretto a prendere posizione, a resistere per esistere. Adesso sta a noi cogliere l’occasione per combatterlo, uscirne e creare finalmente un mondo nuovo che sappia garantire quanto di umano stanno cercando di toglierci: giustizia, solidarietà, fraternità, uguaglianza, spiritualità e gioia di vivere.

Sonia Bibbolino

Dentro la bolla

Pubblichiamo questa lettera/testimonianza di Renata Fontanella. Renata, come molti ultimamente, ha dovuto subire il calvario del covid, sia fisicamente che moralmente. Non essendo vaccinata, chiunque infatti si può sentire in diritto di rimproverare le persone come lei addebitando loro le colpe praticamente di tutto (meccanismo purtroppo tragicamente noto, questo, nella storia dell’umanità), abdicando di fatto ad ogni spirito critico e capacità di ragionamento autonoma. Tutto quello di strano e non spiegato che sta dietro la vicenda “covid” viene cancellato con un colpo di spugna, ogni possibilità di cura diversa dalla vaccinazione di massa irrisa e dichiarata aprioristicamente inefficace, ogni pensiero che sollevi anche solo una perplessità, demonizzato e crocifisso all’istante, e chi dubita definito immediatamente con qualche appellativo infamante. Non è il caso di entrare nel dettaglio, di provare qui a capire per esempio se la vaccinazione diffusa sia consigliabile durante le epidemie, oppure non sia essa stessa un’arma a doppio taglio (così come il famoso “green pass”), che favorirebbe l’emergere delle varianti, come sostiene una certa scolastica epidemiologica,1 oppure se i problemi di “affollamento” degli ospedali dipendano dalla “stolidità” dei cosiddetti “no vax”, o dai feroci tagli alla sanità pubblica fatti negli ultimi decenni da tutti i governi, centro-sinistra o -destra che fossero, o se gente come Brunetta o Draghi possa insegnarci qualcosa e farci persino la morale, infine quale sia la scienza “buona” e quella “cattiva”, e soprattutto chi decida questo gioco delle parti e in che direzione. Tutte domande ed osservazioni che lasciamo qui in sospeso ma che dovrebbero, speriamo e crediamo, occupare molto spazio di riflessione nel prossimo futuro.
Buona lettura

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Accade che un giorno, mentre stai programmando il tuo tempo, quel tempo si debba fermare.
In casa tua c’è un positivo al covid.
Da quel momento entri dentro quella bolla che ti isolerà per un lungo periodo dai contatti umani.
Il medico di base ti consiglia un tampone dal quale risulti ancora negativa.
Però stai male.
Ancora il medico ti fornisce assistenza al telefono, ti consiglia antinfiammatori, antibiotico,
vitamine…
Non è possibile una visita domiciliare, sei “dentro la bolla”, puoi infettare, puoi trasmettere il virus…
La notte successiva ti senti male, vomito, febbre, non sai cosa fare.
La persona che convive con te, tuo marito, sta anche peggio.
Ricontatti il medico.
Tramite lui vieni contattata dal personale Usca.
“Signora come sta?”
“Molto male, vomito continuo.”
“ Se ha la patente vada in auto a fare un tampone”
“Come? – domando io – Ma se non mi reggo in piedi come faccio?”
A quel punto i familiari contattano una ambulanza che mi porta al pronto soccorso covid.
La stessa soluzione anche per mio marito.
Troviamo personale preparato, fanno le analisi tempestivamente.
Positiva al covid.
Per accompagnarmi ad eseguire la tac polmonare chiamano una addetta Oss.
Di questi tempi, la domanda è ormai di consuetudine: -“È vaccinata? -“No” -“Brava!”
L’addetta a questo punto si sente autorizzata ad insultare : “Vi dovrebbero rinchiudere per un anno, siete voi, no vax, che infettate tutti!”
Tento di difendermi da tanta cattiveria, tra l’altro subita durante una notte per me difficile, le chiedo perché si permette di chiedere questo, visto che lei non fa neppure parte del personale infermieristico.
Mi risponde che è comunque doveroso chiederlo, lo fanno perfino davanti alla salita dell’autobus, richiedendo l’esibizione del green pass.
A quel punto chiama le infermiere e parlottano contro chi non si vaccina.

Siamo arrivati a una divisione netta tra le persone, ben fomentata dai media in un mantra costante, purtroppo.
Invece di aiutarci a superare tutti insieme questi mesi difficili, è stata creata la strategia della “caccia ai colpevoli”, una assurda divisione tra chi sostiene il pensiero unico e coloro che invece chiedono rispetto della Costituzione invocando la libertà di scelta.

Eseguita la tac vengo accompagnata in reparto con il referto: “Polmonite da Sars”
Entro così realmente dentro “la bolla”, come è chiamato il reparto Covid.
È una realtà che accomuna i pazienti in patologie e terapie simili, mai accaduto, credo, in altri reparti.
Le cure sono le stesse, così come le ansie, il guardare il saturimetro, consultare gli altri pazienti…
Perché si finisce in reparto?
Perché non sempre le cure domiciliari sono ottimali. Oppure per l’aggravamento delle patologie.
Il personale sanitario è molto preparato e professionale, attento alle esigenze di tutti i pazienti.
È protetto da tute sanitarie plastificate usa e getta, il viso quasi non riconoscibile, brilla solamente lo sguardo, più o meno dolce.
Mi sembrano statuine di gesso, bianche o celesti a seconda della mansione.
Le immagino parte di un presepe vivente, un presepe costante che non conosce soluzione di continuità.
È la nuova ‘normalità’.
Ammiro la loro presenza costante, il loro impegno svolto con professionalità.
Al paziente chiedono se è vaccinato, giusto, serve loro a formulare la storia clinica di ognuno, alcuni però ti chiedono anche il motivo, altri, pochi per fortuna, se manifesti un po’ di timore, aggiungono: “ci potevi pensare prima di arrivare qui”.
Dopo cinque giorni, fatta la terapia monoclonale, fatto il supporto di ossigeno e le varie terapie del caso, verificato che l’emogas, cioè l’ossigenazione del sangue va bene, vengo riportata a casa. Mio marito, più grave, resta ancora qualche giorno per la terapia con l’ossigeno.

In reparto covid mi sentivo in qualche modo protetta, seguita, non sola.
Arrivata a casa ho avuto la sensazione di essere di nuovo “ai domiciliari”, più isolata, ancora contagiosa quindi senza possibilità di comunicare.
Nessun sanitario viene a controllare la tua situazione clinica.
Solo contatti telefonici, comunque dopo aver verificato dal colloquio che “stai bene”.
Questa è la sensazione che avvolge i malati covid: entri dentro una bolla, immaginiamola d’aria, in isolamento totale per tanti giorni, non puoi comunicare, devi trovare chi può essere disponibile a lasciare il cibo alla porta…Non puoi uscire dalla bolla, nessuno può entrare nella bolla…
Finché la bolla non scoppia, finché risulti positivo al Covid, finché non passano 21 giorni dal primo tampone…
Se sei fortunato ne esci bene .
Se sei fortunato la bolla esaurisce la propria vitalità senza creare danni alle persone.

Concludo con un grande plauso ai medici di base come Erminia Ferrari della provincia di Brescia. Ha curato i pazienti casa per casa, non li ha lasciati soli, la presenza rassicurante del medico è molto importante, la cura domiciliare al paziente va attivata fin da subito.
Se vengono superate le barriere mentali, vengono attivate le cure domiciliari.

Spero di essermi spiegata e ci tengo a fare un appello: “Torniamo umani!”

Salute a tutt*

Renata Fontanella

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Note:
1: cf per esempio https://www.affaritaliani.it/coronavirus/garavelli-nel-picco-epidemico-non-si-vaccina-ora-lo-dice-crisanti-736684.html e per contrasto questo https://www.open.online/2021/07/08/covid-19-rapporto-vaccini-varianti/. Qui invece un interessante articolo sugli effetti avversi https://www.fondazionehume.it/wp-content/uploads/2021/11/Articolo_effetti_avversi-85.pdf. Riguardo al Green Pass è invece oramai acclarato che molti, forti della presunta protezione fornita da questo dispositivo, hanno di fatto veicolato in modo capillare il covid nelle sue molteplici varianti