Narrazioni tossiche

Narrazioni tossiche

Quali sono?
Tutte quelle narrazioni che stanno invadendo le nostre menti in questo contesto storico, quelle narrazioni univoche che convergono verso un pensiero unico, senza contradditorio o, meglio, senza possibilità di dialogo.
Vuoi la ‘pandemia’, vuoi i tamponi, vuoi il ‘green pass’ … e per ultimo, ma non meno importante e/o impattante, c’è il vaccino.

Con l’ultimo che ho detto… ahimè, c’è una pubblicità talmente vivace (ingannevole) che ci propina in continuazione, nella televisione di Stato, l’immagine di atleti, artisti ed altri personaggi noti, in un bombardamento di inviti con la “V” digitata con la mano. Per “V” mi piacerebbe riferirmi alla parola “volontario”, ma così non è.

Di volontario ormai non c’è più niente, esistono e persistono solo obblighi.
Siamo arrivati alla “V”, dopo di essa ci rimane solo la lettera “Z” … cioè zitti e ubbidienti …
Così non siamo. Un gruppo numeroso e rumoroso di umani ha ancora la mente vivace, pronta, e crede assolutamente alla libertà di pensiero e all’applicazione della Costituzione.

Io appartengo gioiosamente a questa fetta di umanità resistente e competente.
Non ascolto le narrazioni tossiche da sempre, non accetto imposizioni che minano la mia e l’altrui salute fisica e mentale, resto umana, con la terz’ultima delle lettere dell’alfabeto.

“Restiamo umani”, lo diceva Vittorio, lo ha insegnato Vittorio.
Arrigoni è nella prima lettera dell’alfabeto, è nel suo cognome.
Resterà sempre il primo.

Impariamo a leggere prima di farci inoculare veleni tossici nel nostro corpo,impariamo a difenderci dalle narrazioni tossiche, utilizziamo le nostre teste pensanti, non quelle dei governanti collusi con le società farmaceutiche.
Il virus è nelle loro menti, noi siamo cavie nelle loro dittature sanitarie.

Non in mio nome.
Non in nome di coloro che credono nella Costituzione.
Nei diritti di scelta di Vita.
La paura ha ribaltato i nostri contenuti, restiamo umani, torniamo ad essere umani.

Salute a tutte e tutti

Renata Fontanella

La paura, i “nemici interni” e la mascherina all’aperto

“E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse, e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura, e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano; era con sì fatto spavento questa tribolazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava, e il zio il nipote, e la sorella il fratello, e spesse volte la donna il suo marito; e, che maggior cosa è e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano”.

Giovanni Boccaccio, Decameron, I

Le riflessioni che svolgerò qui sotto nascono da una premessa teorica molto semplice: l’idea che portare la mascherina all’aperto, in qualsiasi luogo e situazione, sia una grande idiozia. Contrariamente che nei luoghi chiusi, negli spazi aperti è assolutamente improbabile che venga trasmesso un virus influenzale. Ma andiamo a leggere cosa prevede il DPCM del 3 dicembre 2020, l’ennesimo di una sfilza di decreti surreali e contraddittori, in merito all’uso delle mascherine:

«Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, nonché obbligo di indossarli nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio previsti per le attività economiche, produttive, amministrative e sociali, nonché delle linee guida per il consumo di cibi e bevande».

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Il discorso dominante del virus

La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.

George Orwell, 1984

L’emergenza del virus ha portato con sé anche un discorso dominante, creato dal potere e diffuso dai suoi più svariati servitori mediatici: i telegiornali, i giornali e tutte le diramazioni create dalla Rete. Tale discorso dominante parla della verità o, meglio, di ciò che è giusto, di ciò che è bene. Una caratteristica di questo discorso è infatti quella di essere contrapposto, quasi in forma manichea, a ciò che viene definito come male, come sbagliato. Da una parte c’è il bene, dall’altra c’è il male. Anche un bambino di quattro anni capirebbe che non può funzionare così, non deve funzionare così. Il discorso dominante funziona invece come un blocco monolitico al quale non ci si può contrapporre se non si vuole cadere vittima della pratica dell’interdetto e del divieto.

Come nota Michel Foucault ne L’ordine del discorso, pressoché in tutte le società esistono “narrazioni salienti che si raccontano, si ripetono, si fanno variare; formule, testi, insiemi ritualizzati di discorsi che si recitano, secondo circostanze ben determinate; cose dette una volta e che si conservano, perché vi si presagisce qualcosa come un segreto o una ricchezza”.1 Tali narrazioni possono benissimo essere rappresentate, nelle società antiche, dai racconti mitici e dai miti in generale. Nella società contemporanea, in cui la parola mitica in senso proprio è stata completamente rimossa, quegli stessi racconti mitici del passato hanno assunto le vesti di una vera e propria nuova ‘mitologia’, quella della società dei consumi. All’interno di essa, fin dall’avvento dei media di massa, il mito viene infatti sostituito dalla narrazione mediatica e mediatizzata, quella riferita dai telegiornali e dai giornali e, adesso, anche dalle più diverse diramazioni di Internet (dai social ai blog). Ma cosa afferma, di preciso, il discorso dominante del virus? Afferma, innanzitutto, la sua pericolosità assoluta, senza alcuna distinzione (in base ai luoghi o all’età delle persone, per esempio) o discussione e l’assoluta necessità di distanziamento sociale. In seguito a ciò, i governi hanno assunto diverse misure per mettere in pratica il cosiddetto lockdown.

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L’altra faccia della paura

Una narrazione quasi personale.

Il piccolo voleva nascere, entrare anche lui nel mondo reale, uscire dal caldo abbraccio della placenta materna. Nascere.
La mamma aveva avvertito le prime contrazioni, le acque si stavano per rompere – come si dice in gergo.
Alla notizia, ho sentito una emozione indescrivibile, ho pianto.
Nella stessa casa, 35 anni prima, ho avuto lo stesso avvertimento, nella stessa stanza…allora stava per nascere il mio secondo figlio.
Questo primo nipote è nato tre giorni dopo, all’ospedale di Cecina il giorno 11 marzo 2020. Gioia immensa, ma paura di non poterlo abbracciare, almeno per il momento. Così è stato.
Questa data, per la mia famiglia, è diventata molto importante, mentre per la nostra realtà, per tutto il mondo, è una data che ci ha avvolti in un cerchio infernale, dentro la PAURA.
Paura innescata dall’allerta, dai media, dai giornali, dalle immagini di bare…di intubazioni…di sofferenze estreme…di morte!
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Se non mi vaccino, io sono confine

Il mio mestiere è attraversare frontiere

John Graham Ballard, Cocaine Nights

Shahram Khosravi, antropologo di origine iraniana, nel suo saggio dal titolo Io sono confine, analizza il concetto di “confine” focalizzandosi sulla sua esperienza personale di profugo in fuga dal regime che, nel suo paese, negli anni Ottanta imponeva il reclutamento forzato in una sanguinosa guerra contro l’Iraq. I confini e le frontiere, secondo Khosravi, producono nuove soggettività segnalando che chi sta dall’altra parte “è diverso, indesiderato, pericoloso, contaminante, persino non umano”.1 I migranti “senza documenti e i clandestini che violano i confini sono contaminati e contaminanti proprio in quanto non classificabili”.2 Il sistema politico che regola le frontiere crea un essere umano a sua volta “politicizzato” per cui coloro che non sono in possesso dei documenti – i richiedenti asilo apolidi e i migranti irregolari – si trasformano in veri e propri scarti dell’umanità, dei corpi privi di qualsiasi dignità sui quali è lecito infierire con le più terribili violenze.

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