Intervista a Fabio Vighi

Offline: A seconda dei punti di vista, se cioè favorevoli o sfavorevoli al sistema, si parla ultimamente – riferendosi al futuro (anche molto prossimo, praticamente presente) – di distopia o utopia (digitalizzazione, città 15 minuti, credito sociale, intelligenza artificiale etc). A tuo parere, verso quale direzione ci stiamo avviando? Rimanendo inalterata la struttura sociale di fondo, dove approderemo? Quali sono i destini del nostro mondo, fra 100, 500, 1000 anni, domani? Ti chiediamo questo perché crediamo che, nonostante tutto, forse non è scontato che si finisca nel baratro, sociale o ecologico che sia – o almeno non tutti, e non nello stesso modo. Il sistema potrebbe in qualche modo riuscire a mantenere uno standard di sopravvivenza, qualitativamente basso (anche molto basso) per molti e alto (anche molto alto) per pochi, e chi sta sotto, resta sotto (magari ipercontrollato, con tecnologie di ultima generazione e molto efficaci) e chi sta sopra, resta sopra, continuando a fare quella dorata vita idiota cui sembra aspirare e devastando il mondo quanto più possibile. Qual è la tua opinione al proposito?

Fabio Vighi: Penso che stiamo vivendo un lento collasso socioeconomico accompagnato da vari fantasmi escatologici, che serviranno a renderlo più appetibile, per così dire. Il fantasma escatologico, cioè la minaccia di un evento cataclismico capace di azzerare o quasi la vita umana, è incluso nel prezzo che ci fanno pagare, fa parte del gioco. Questo dovrebbe averci insegnato la psico-pandemia. Più diventeremo schiavi del capitalismo dell’ultra-finanza, specie a livello di indebitamento, più continueranno a sbocciare visioni di tipo distopico-apocalittico. Sembra quindi inutile speculare su quando o come finirà il capitalismo, perché ogni fantasma della fine è incorporato nel sistema, così come lo è nella cinematografia hollywoodiana. Il fantasma escatologico è pura deterrenza. Serve a indorare la pillola dell’inevitabile stagnazione e imbarbarimento della civiltà capitalistica. Ciò non significa che non si finisca nel baratro – gran parte dell’umanità è già nel baratro. Significa piuttosto che per potersi auto-alimentare il capitalismo di crisi ha bisogno di proiettare nel futuro prossimo, sempre dietro l’angolo, l’immagine della (propria) catastrofe. Questo paradossale stratagemma, che un tempo avremmo definito “ideologico”, potrebbe mantenere il capitalismo in vita artificiale ancora per molto tempo. Effettivamente potremmo definire questo stratagemma una “ideologia escatologica”, che ben si abbina alla crisi finale del sistema capitalistico.
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Film da non vedere: “C’è ancora domani”, di Paola Cortellesi

Recensioni entusiaste, elogi sperticati di amiche ed amici, voci che rimbalzano per ogni dove… siamo incuriositi a tal punto che ci siamo decisi: andiamo anche noi a vedere questo mitico film, quello della Cortellesi, “di cui tutti parlano”.
“Fusse che fusse…” e ci trovassimo di fronte ad un film che rompe gli schemi ed esce finalmente dai binari del conformismo lecchino e complice, della commediola soporifera e vuota e della soap opera inguardabile e avvilente che intasano i nostri schermi. Andiamo, dunque! Il cinema è persino a cinquecento metri da casa, tutto torna, gli dèi sono con noi, sarà un film bellissimo (o almeno interessante).
Passano due ore (qualcosa in più, a causa del martellamento pubblicitario che precede il film, che non ci molla neanche in questa occasione, figuriamoci…) ed eccoci fuori. Cos’è successo nel frattempo? Se può interessare, ecco le nostre impressioni:
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Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria

Recensione a Silvia Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, 2020, pp. 343, euro 28.

Non è una novità che la storiografia contemporanea, tranne alcune lodevoli eccezioni, attribuibili esclusivamente a storiche dalla penna sferzante e dal particolare acume culturale che proviene da competenze di assoluto rilievo, abbia trascurato le vicende occorse nel corso dei secoli dell’era cristiana alle donne e al genere femminile nel suo complesso. In maniera piuttosto colpevole, anzi, ricostruzioni pur apprezzabili hanno declinato gli eventi del mondo antico, moderno e contemporaneo leggendone gli interstizi, le pieghe, le contraddizioni e le linee temporali più o meno lunghe attraverso le spoglie di un implicito carattere maschile.
Una rimozione indotta da un criterio, diffuso e ritenuto ovvio, di interpretazione dei fatti storici ha contribuito a riproporre senza sosta un “ordine del mondo” descritto unilateralmente, attribuendo dunque agli uomini un ruolo di sostanziale presenza e predominanza che prescinde in toto dal coinvolgimento delle donne, tutt’al più pallidi cospetti in un corso della storia dove non c’è spazio per loro, e quando esso esiste è quello della subordinazione.
L’Occidente cristiano – volgendo lo sguardo a questa parte del pianeta senza dimenticare che molto si potrebbe dire dell’atteggiamento assunto anche a Oriente nei confronti delle donne – ha inteso dar luogo a una narrazione incentrata su paradigmi socio-culturali, e persino scientifici, all’interno della quale il genere femminile viene, con esecrabile automatismo, sussunto in pratiche discorsive che lo trasformano in rappresentazione surrettizia dell’unico racconto possibile, le res gestae dell’uomo artefice del destino della propria specie, patriarca autoreferenziale, e decisamente aggressivo, all’interno di un modello di evoluzione antropologica invasivo e onnipresente, e di per sé insostituibile.
Silvia Federici propone in questo saggio densissimo e affascinante, una rilettura critica del passaggio dal feudalesimo alla prima società capitalista e della formazione del proletariato moderno, ripercorrendone le tappe significative a partire da corposi riferimenti bibliografici, come dimostrano le oltre trenta pagine a fine volume in cui troverete segnate in dettaglio le fonti utilizzate, che, per quanti hanno dimestichezza con l’argomento o perlomeno con alcuni dei testi essenziali citati dall’autrice, ricompongono uno scenario interpretativo noto agli studiosi, se non fosse che lo sguardo prospettico viene rovesciato o perlomeno intercettato da un’altra angolazione.

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“Il capitale mondo”: sguardo su globalizzazione, complottismi e dintorni

È uscito, per le edizioni Meltemi, un importante libro di Robert Kurz, Il capitale mondo. Per una sintetica presentazione del testo e della sua storia, rimandiamo all’introduzione, dove vengono tratteggiati velocemente anche temi e motivi di fondo.

In questo articolo vorrei invece sottolineare come, in un periodo travagliato quale quello che stiamo attraversando, il libro di Kurz rappresenti un raro tentativo, a mio avviso riuscito, di spiegare la crisi mondiale in modo lucido e ben argomentato, evitando derive cospirazioniste o destrorse, oggi così di moda.

Kurz, sulla scorta della teoria critica del valore, corrente di pensiero di cui ha rappresentato e rappresenta ancora la mente più brillante, riesce infatti a dare un quadro coerente di una serie di fenomeni che nei nostri tempi affranti sconcertano i più, fenomeni che scombinano le coordinate e provocano spesso grande confusione, anche teorica (solo per fare un esempio, la difficoltà di riconoscere oggi cosa sia sinistra e cosa destra, addirittura se questa distinzione abbia ancora senso).

Questo caos non creativo confluisce spesso in interpretazioni del reale che hanno un che di surreale, letture che immaginano grandi complotti e grandi manovratori i quali, da qualche luogo non ben definito ma immancabilmente sinistro e cupo, decidono delle sorti del mondo e dei suoi abitanti.

Sia chiaro: non mancano luoghi e organizzazioni, spesso statuali, dove effettivamente si decide su questioni o aspetti rilevanti per la sorte di ognuno di noi. Ma un conto è riconoscere dietro a tutto questo, come fa appunto Kurz, il movimento del sistema del capitale, che tesse una ragnatela di dispositivi insieme repressivi e normalizzanti al fine di mantenere in vita se stesso e le condizioni della propria esistenza, ed al tempo stesso riconoscere il “funzionariato” che – di fatto – ne rappresenta la manovalanza, un conto pensare che ci siano élite ben identificabili, particolarmente perverse e maligne, che complottano per lo sterminio di due terzi dell’umanità o tramano per inserirle un chip sottocutaneo, o che altro, e che siano esse l’origine di tutti i nostri mali – per cui sparite quelle, sparito il male.

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Il discorso dominante del vaccino

“Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive
-Giacomo Leopardi, La Ginestra o il fiore del deserto

“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”
-Dante, Inferno, III, 51

Come il virus, anche il vaccino si è incagliato nella mentalità collettiva sotto forma di discorso dominante. Come il virus è pericolosissimo e estremamente letale per tutti, nessuno escluso, così il vaccino è sicuro per tutti, è l’unica ancora di salvezza nella terribile tempesta scatenata dal Covid 19. Il vaccino si è trasformato in una entità sovrana e perfetta, tanto da assumere alcune caratteristiche divine. Del resto, non c’è da stupirsi, siamo in Italia (che prosegue ottusamente nella campagna vaccinale nonostante siano stati sollevati diversi dubbi in molti paesi europei), un paese saldamente ancorato a un arcaico cattolicesimo ma anche a una diffusa fede per qualsiasi forma di religione e divinità, dal buddismo al Mago Otelma. Lo si poteva prevedere fin dalla fine di dicembre scorso, quando l’arrivo delle prime dosi era stato accolto all’aeroporto come un capo di Stato e scortato da polizia e mezzi militari, quasi si trattasse della Sacra Sindone o del simulacro di una qualche divinità. Re Vaccino I ha fatto così il suo ingresso in Italia.

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