“Ai più deboli è concesso rispondere ai potenti, e ha la meglio chi è realmente nel giusto. Questo vuol dire essere liberi”
Euripide – Le supplici
“La democrazia è il contrario della libertà”
Gruppo Krisis – Manifesto contro il lavoro
Il principale dilemma dei consumatori del benessere e della salute, al giorno d’oggi, è “Pfizer o Astrazeneca?”. Questo dilemma si inserisce pienamente all’interno di una società dei consumi ormai dominata dal capitalismo digitale e ha lo stesso valore di quello che investe il consumatore di fronte agli oggetti da acquistare, dai telefoni cellulari fino alle automobili: “Samsung o Huawey?, “Volkswagen o Toyota?”. Il tutto avviene all’interno di uno spazio sociale dominato da una sempre più pervasiva ‘democrazia’, improntata su una libertà che appare solo illusoria. Le alternative presenti nel titolo di questo intervento, “Pronto o Dixan”, “peste o colera” compaiono nel Manifesto contro il lavoro (1999, tradotto in italiano nel 2003) del Gruppo Krisis, in un passo in cui gli studiosi riflettono sul valore di democrazia al giorno d’oggi: “Infatti in democrazia tutto è trattabile, tranne i vincoli della società del lavoro, che invece sono presupposti come un assioma. Ciò di cui si può discutere sono soltanto le modalità e le forme che questi vincoli assumono. C’è sempre e soltanto la scelta tra Pronto e Dixan, tra peste e colera, tra volgarità e stupidità, tra Kohl e Schröder, tra D’Alema e Berlusconi”.1 Se i riferimenti politici appaiono datati (si parla infatti di personaggi politici della fine degli anni Novanta), sicuramente non lo sono quelli al sistema-democrazia. All’interno di esso ci sono alcuni vincoli che non sono trattabili, come quelli della “società del lavoro”, sui quali si concentra principalmente l’analisi del Manifesto. Il lavoro, all’interno del “più perfido sistema di dominio della storia”2 (cioè la democrazia della “società del lavoro”), non può certo essere messo in discussione. Insomma, non vi sono libere scelte, in definitiva, ma solo la scelta del ‘meno peggio’ fra ciò che offre il sistema-democrazia. Anche fra gli oggetti di ‘benessere’ non ci può essere una libera scelta, e neppure fra quelli che dovrebbero preservare la salute. Tertium non datur: o vaccino o vaccino.
Se i telegiornali e i media digitali strombazzano a gran voce che il dilemma che investe il consumatore della salute, oggi, è “Pfizer o Astrazeneca?”, quegli stessi telegiornali e media diffondono la notizia di numerosi giovani che, in nome del ‘bene comune’, si recano in quegli abominevoli spazi denominati “fiere”, costituiti da capannoni e tendoni con miriadi di stand, per fare il vaccino, attendendo il proprio turno fin dall’alba. Recarsi in questi spazi, veri e propri “non-luoghi” della contemporaneità, secondo l’efficace analisi di Marc Augè, significa inequivocabilmente recarsi in spazi del consumo e dello spettacolo, sotto l’egida del Capitale. Quegli stessi “non-luoghi”, infatti, accolgono fiere, esposizioni, dove quegli stessi giovani si potrebbero recare, attendendo fin dall’alba, per comprare un nuovissimo telefono cellulare o per entrare al concerto della loro rockstar preferita. Se, in tempi di Covid, i concerti sono stati praticamente aboliti, la nuova rockstar è il vaccino, il quale sostituisce quelle tradizionali che non possono esibirsi. Quegli stessi stand negli spazi delle “fiere” vengono inoltre spesso allestiti per offrire dei posti di lavoro a giovani ‘seri’ e ‘motivati’: vi si dispongono le aziende per offrire posti di lavoro o, spesso, stage di prova senza stipendio. Come si può vedere, all’interno della società manovrata dal Capitale, non c’è alcuna differenza se, in quegli spazi fieristici, si trovano stand vaccinali, venditori di cellulari o di automobili o spacciatori di lavori ormai ‘zombificati’ dalla tecnologia digitale e microelettronica. Spesso, infatti, ci dimentichiamo che dietro l’esposizione e la somministrazione di vaccini ‘per il nostro bene’ ci sono grandi aziende della chimica farmaceutica, dei veri e propri colossi del sistema capitalistico.
Come ha scritto Jean Baudrillard, la logica sociale del consumo si basa su una antropologia ingenua: “quella della propensione naturale alla felicità. La felicità, incisa a lettere di fuoco sulla più banale pubblicità per le Canarie o sui sali da bagno, è il riferimento costante della società dei consumi: è l’esatto equivalente della salvezza”.3 Il vaccino, nella società dei consumi, funziona secondo la stessa logica, è l’equivalente della salvezza di fronte al pericolo del virus. Un prodotto creato da un’azienda diventa uno strumento di felicità e salvezza: una trasformazione di questo tipo può avvenire solamente all’interno della società capitalistica, la quale è andata pericolosamente a coincidere con la stessa esistenza degli individui. Come per qualsiasi bene di consumo, non tutti sul pianeta hanno le stesse possibilità di accesso a queste decantate felicità e salvezza: in Africa, in America Latina e nei paesi del Sud est asiatico, ad esempio, non tutte le persone hanno la possibilità di accedere a questi enormi spazi fieristici per ricevere la propria dose di vaccino. La sperequazione e le ingiustizie imposte dal Capitale funzionano anche per il diritto alla salute: un giovane africano, secondo questo sistema, non può avere lo stesso diritto alla salute di un giovane europeo. Ma, anche questo, non è una novità: la somministrazione di medicinali nei paesi del Terzo Mondo non è davvero ai livelli dei paesi industrializzati. Certo, così dicendo non voglio affermare che ci dovrebbero essere più vaccini per tutti, inseguendo uno slogan becero quanto idiota (fatto proprio, non a caso, dalla sinistra). Dire una cosa del genere equivarrebbe ad affermare che ci vorrebbero più oggetti di consumo per tutti, più automobili per tutti, più cellulari per tutti e via di seguito. Sarebbe una sottomissione totale ai diktat consumistici della società capitalistica. Si dovrebbe invece trovare un’alternativa agli oggetti di consumo, alle automobili o ai cellulari e così anche ai vaccini: magari cure alternative per il Covid che non vengono sperimentate e coltivate perché entrano in contrasto con gli interessi delle grandi aziende farmaceutiche. Il sistema di somministrazione dei vaccini funziona nello stesso identico modo della vendita di un bene di consumo, sommerso da mille assurdità e contraddizioni del sistema capitalistico.
Baudrillard continua la sua lucida analisi affermando che si parla molto di diritto alla salute, di diritto allo spazio, di diritto alla cultura ecc., ma questo significa una e una sola cosa: questi “diritti” emergono nel momento in cui non ci sono più salute, spazio o cultura per tutti:4 “La comparsa di questi nuovi diritti sociali, branditi come slogan, come manifesto democratico della società dell’abbondanza, è dunque in realtà sintomatica del passaggio degli elementi in gioco al rango di segni distintivi e di privilegi di classe (o di casta). Il «diritto all’aria pura» significa la perdita dell’aria pura come bene naturale, il suo passaggio allo stato di merce e la sua disuguale distribuzione sociale”.5 La stessa trasformazione ha investito la salute: essa è stata perduta dagli individui come bene individuale ed è diventata una merce e, come tale, è divenuta oggetto di una disuguale distribuzione sociale. Il cosiddetto benessere, sul pianeta, finisce per assomigliare alla visione distopica creata dal regista sudcoreano Bong-Joon-ho nel suo film Snowpiercer (2013): un mondo di sopravvissuti costretti a vivere su un treno nel quale le agiatezze della vita sono riservate solo alle classi più ricche mentre i poveri trascinano la loro esistenza nelle carrozze di coda, sporche e fatiscenti.
Lo stesso oggetto-merce assume connotazioni quasi ‘divine’: esso offre la “prova di una salvezza attraverso le opere in mancanza di una salvezza per grazia”.6 Come ho già scritto altrove, il vaccino ha assunto una transustanziazione quasi divina: secondo la mentalità collettiva esso possiede un potere taumaturgico e salvifico quasi magico, nello stesso identico modo di un altro oggetto-feticcio della stringente contemporaneità, la mascherina. Quest’ultima pare avere raggruppato in sé tutti i poteri magico-sacrali della maschera teatrale antica: oggetto magico, misteriosa soglia tra il mondo dei vivi e quello infero (la danza, tipica del teatro antico, era infatti un modo per entrare in contatto con un universo soprannaturale e infero). A metà tra oggetti-feticcio del consumo e oggetti rivestiti di connotazioni magico-sacrali (le “mitologie” del consumo di cui parla Roland Barthes), essi sono penetrati nella coscienza collettiva, hanno scavato in profondità all’interno dei desideri degli individui, come se si trattassero di nuovissimi cellulari, televisori o automobili.
Il principale problema, allora, probabilmente risiede proprio in quella mentalità collettiva, facile preda di narrazioni e discorsi dominanti, spadellati con abbondante contorno di retorica da media sempre più pervasivi, servitori perfetti della macchina capitalistica. Una mentalità collettiva che ragiona soltanto secondo gli schemi preconfezionati da quegli stessi media: chi critica i vaccini, allora è “no vax”; chi critica l’uso della mascherina all’aperto, allora è “no mask”, negazionista e fascista; chi ha manifestato per il “No Paura Day” è uguale in tutto e per tutto ai decerebrati sostenitori di Trump che protestano contro le restrizioni; chi critica il lockdown è uno scriteriato che non pensa al bene comune e “non rispetta i morti” e via di seguito. Bisognerebbe riuscire a capire fino in fondo che si tratta solo di vuoti e inutili schemi mentali: la capacità di giudizio autonomo risiede al di là di essi. Si trova nei corpi e nella capacità di esercitare fino in fondo la propria libertà intellettuale, al di fuori delle gabbie di pensiero allestite da un capitalismo mediatizzato e spettacolarizzato. E se non riusciremo a esercitare questa libertà intellettuale, ci resterà sempre la democratica libertà di scegliere tra Pfizer e Astrazeneca, tra la volgarità e la stupidità, tra la peste e il colera.
Edmond Dantès
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Note:
1: Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro, trad. it. di A. Jappe e G. Rossi, DeriveApprodi, Roma, 2003, p. 33.
2: Ibid.
3: J. Baudrillard, La società dei consumi. I suoi miti e le sue strutture, trad. it. Il Mulino, Bologna, 2010, p. 40.
4: Ivi, p. 50.
5: Ivi, p. 51.
6: Ivi, p. 53.