In un film del 2009, Dogtooth, uscito nelle sale italiane soltanto tra fine estate e inizio autunno scorsi, poco prima che chiudessero i cinema, il regista greco Yorgos Lanthimos mostra come il controllo a fin di bene possa generare dei veri e propri mostri. In una villa isolata, con un ampio giardino, una ricca famiglia tiene segregati in casa dalla nascita i tre figli adolescenti, un maschio e due femmine, per non farli contaminare dal mondo esterno. Per il loro bene, i tre giovani non devono sapere niente di ciò che c’è al di fuori dei muri della villa perché si tratta di un mondo terribile e dominato dalla violenza. Come nel mito della caverna di Platone, i ragazzi percepiscono solo ombre confuse della realtà, in una situazione di segregazione in cui i genitori stravolgono, a loro uso e consumo, quasi orwellianamente, perfino il significato delle parole. Ad esempio, viene spiegato ai figli che “il mare è una poltrona di pelle”; “l’autostrada è un vento molto forte”; “una carabina è un bellissimo uccello bianco”. Se i figli osano ribellarsi alla macchina del controllo e della segregazione costruita dai genitori solo per il loro bene, vengono sottoposti a violente punizioni e torture fisiche e psicologiche. Il microcosmo della villa si trasforma perciò nella ossessiva metafora di un controllo pervasivo e dittatoriale. Del resto, lo stesso Lanthimos ci offrirà con The Lobster (2015) uno stupendo affresco di una distopica società del futuro, dominata da un’oscura dittatura che impone lo status sociale della coppia.
L’imposizione, in tempo di pandemia, del lockdown da parte dei governi europei funziona secondo lo stesso principio messo in atto dai genitori della famiglia di Dogtooth. Per il bene dei cittadini, per la loro salute, essi vengono costretti agli arresti domiciliari e privati dei più elementari diritti come quello di poter muoversi liberamente sul territorio nazionale. Ma i governanti, molto probabilmente, non hanno tenuto conto del fatto che la salute, in questo caso, come l’antico dio Giano, ha due facce. Ci mettono agli arresti domiciliari per proteggerci dal virus ma ci condannano a implacabili torture psicologiche. Non moriremo di Covid ma di dolore, di ansia e di depressione. Non è un caso che, durante il lockdown di marzo-aprile 2020, siano aumentati i suicidi, ma anche le violenze fra le mura domestiche. È stato calcolato che in Italia, da marzo a settembre 2020, si sono registrati 71 suicidi e 46 tentativi di togliersi la vita (nello stesso periodo, nel 2019, il numero di persone che si sono uccise per motivi legati alla crisi economica si attestava a 44 e quello dei tentati suicidi a 42).
Nonostante l’allarme lanciato dagli psichiatri, a distanza di un anno, non è cambiato niente. Sembra che il governo non riesca a contrastare il virus in altro modo se non imponendo il lockdown e chiudendo le scuole. Ma non lo fa certo per la nostra salute, ci mancherebbe altro. Lo fa per mascherare ipocritamente le sue gravi colpe (che sono tutte dei governanti e non dei cittadini): l’inefficienza di un sistema sanitario abbandonato a se stesso, come anche la scuola pubblica, deprivata per di più delle strutture essenziali. Un governo che spende milioni di euro per comprare armi e cacciabombardieri non è in grado di offrire ai suoi cittadini infrastrutture sanitarie adeguate. Non ci rendiamo nemmeno conto di quante strutture emergenziali, di quanti respiratori potrebbero essere stati acquistati con il denaro speso per un solo cacciabombardiere. È perfettamente inutile leggere libri o guardare film di fantascienza in cui sono affrescate distopiche e crudeli società del futuro. Basta guardarci intorno, ci siamo dentro. La società capitalistica che impone ai cittadini di non uscire per il loro bene, tanto all’interno delle mura domestiche ci sono pay tv, videogiochi, social assomiglia alla dittatura che proibisce i libri tratteggiata da Ray Bradbury in Fahrenheit 451, in cui le persone trovano all’interno delle proprie case, su giganteschi schermi che attuano una specie di lavaggio del cervello, il soddisfacimento a tutti i loro bisogni. Così succede a Mildred, la moglie del protagonista Montag, ritratta mentre, completamente lobotomizzata e preda delle più oscure depressioni, è intenta a parlare con un “annunciatore” che si trova all’interno dello schermo.
Adesso, a marzo 2021, questa politica autoritaria che – come scrisse Martin Buber – è diventata decisiva rispetto alla sfera della vita, impone nuove chiusure e isolamenti sociali incrementando nuove ansie e depressioni. Ancora oggi, a causa di difficoltà economiche, minore inclusione sociale, isolamento affettivo (solo il fatto che non si possa vedere da mesi un amico che vive in un’altra regione è inconcepibile), timori per la salute (incrementati da un diffuso allarmismo) aumentano i casi di depressione anche grave. Una categoria dimenticata e ripetutamente colpevolizzata è poi quella dei giovani e degli adolescenti, sui quali la depressione da lockdown ha colpito in modo particolarmente duro. La ripetuta (e, lasciatemelo dire, ingiustificata) chiusura delle scuole – oltre all’impossibilità di praticare sport e vedere gli amici – ha provocato un aumento di fragilità e disturbi psicologici fra bambini, preadolescenti e adolescenti. Allo stato attuale assistiamo alla totale mancanza di progetti di supporto psicologico per questa fascia sociale: si tratta di una ben grave trascuratezza istituzionale. Ma il discorso dominante ci impone a tutti i costi la terribile pericolosità del virus tralasciando la pericolosità di altre e ben terribili malattie. Purtroppo non sono pochi i casi di adolescenti che, dall’inizio della pandemia, colpiti da depressione, non escono più di casa, smettono di frequentare gli amici interrompendo le attività sociali e, a volte, anche la frequenza scolastica.
Con il lockdown, in definitiva, abbiamo assistito a una ipostatizzazione dell’individuo all’interno della società capitalistica. Come scrive Guy Debord, “questa società tende ad atomizzare le persone in consumatori isolati, a proibire la comunicazione. La vita quotidiana è così vita privata, dominio della separazione e dello spettacolo”.1 Gli individui sono stati trasformati in consumatori isolati mediante cibi da asporto, oggetti di ogni tipo comprati su Amazon, pay tv e videogiochi. La società capitalistica, durante i lockdown, continua a godere di buona salute a scapito della salute mentale degli individui. Le misure restrittive hanno così configurato l’immagine del perfetto consumatore del futuro: un individuo completamento isolato, privato di ogni affetto (eccetto quelli ‘istituzionali’ di una famiglia che assomiglia sempre di più a quella delle pubblicità televisive), senza poter comunicare in forma ‘reale’ con i suoi simili ma solo a distanza mediante apparecchiature digitali, ‘privatizzato’ in tutto e per tutto all’interno delle sue mura domestiche (che non sono molto diverse da quelle fra le quali si trova la moglie di Montag in Fahrenheit 451). Il lockdown, favorendo il capitale, ha perciò costruito, finalmente, il perfetto consumatore, del tutto inserito all’interno della sua sfera individualistica e privata. Del resto – continua Debord – “ci si è chiesti: «La vita privata è privata di cosa?». Molto semplicemente, della vita, che ne è crudelmente assente. Le persone vengono private per quanto possibile di comunicazione e di realizzazione di se stesse”.2
Adesso, più che mai, non possiamo continuare ad accettare questo tipo di società che, gradatamente, continua a privarci della vita. Adesso, per mezzo dei lockdown generalizzati e continuativi, questa società ha finalmente gettato la maschera. Invece di continuare a soffrire in modo masochistico, a subire ansie, depressioni e torture psicologiche, è venuto davvero il momento di dire “no” a tutto questo stato di cose e riappropriarci finalmente di tutta la vita che ci è stata tolta.
Edmond Dantès
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Note:
1: G. Debord, Ecologia e psicogeografia, elèuthera, Milano, 2020, p.79.
2: Ivi, p.82.