Coprifuoco nella nebbia

Jack e Gilbert mi avevano avvertito: stai attento perché a Londra, sulla Terra, è in vigore il coprifuoco. Eravamo nella stazione commerciale di J 24, il satellite di Mercurio, e stavamo sorseggiando un’ottima birra al cristallo di salgemma plutoniano. Sul Regno Unito d’Europa governava re Dragone II, il quale aveva varato una serie di leggi inique, finalizzate soltanto alla sopravvivenza del sistema economico europeo, che stava probabilmente esalando gli ultimi respiri. Formalmente, il coprifuoco era ancora in vigore per contrastare gli estremi effetti di un’epidemia marziana di decenni prima. Anche se, effettivamente, della pestilenza proveniente dal Pianeta Rosso non vi era più alcuna traccia, il Regno si era chiuso in una politica autoritaria, formata da un vero e proprio stato di polizia. Jack, soprattutto, mentre sbevazzava il suo bicchiere di birra, sottolineava il fatto che lui mai e poi mai si sarebbe recato in Europa e a Londra in particolare. Sulla Terra, se ne sarebbe andato nei porti di Singapore, Cape Town, Hong Kong, Nuova Venezia – interamente ricostruita in acciaio mentre la vecchia Venezia era ormai sprofondata a centinaia di metri sotto il mare – ma mai a Londra. Tanto più – diceva – c’è sempre un nebbione da tagliare con il coltello. “Ma io” – ribattei – “devo andare a Londra, per cui mi farò imbarcare sulla prossima nave in partenza per l’Europa, so che hanno bisogno di un marinaio esperto di rotta stellare cerebroguidata”. Eh sì, era la mia specialità, avevo costruito la mia carriera di navigante sulla capacità di utilizzare le mie cellule cerebrali per coadiuvare le rotte dei veicoli commerciali. Gilbert, sorseggiando la sua birra lunare di prima qualità, mi disse di stare attento, a Londra, a Re Peste, che pare si aggirasse nella notte, incurante del coprifuoco, nei vicoli più malfamati della città.

Il vero motivo del mio viaggio a Londra, ai miei due amici marinai, non lo avevo davvero rivelato. Volevo rivedere la principessa Leila del pianeta MAD 19, della quale ero stato perdutamente innamorato circa una decina di anni fa. Da quel momento non la avevo più vista: la conobbi durante un viaggio nei principali scali commerciali del suo pianeta dove mi avevano accolto come uno dei più bravi navigatori cerebrali dell’Universo. La principessa era stata costretta a rifugiarsi sulla Terra, dove viveva sotto mentite spoglie, perché il suo regno era stato occupato con la forza da un sovrano malvagio che aveva imposto un sistema dittatoriale. Povera Leila, sulla Terra era capitata proprio nei territori governati da Dragone II, il cui regno era crudele e iniquo forse quanto quello che la aveva spodestata sul suo pianeta. Del resto, come aveva sottolineato anche Jack, erano diversi i pianeti nei quali erano sorti, negli ultimi anni, dei governi autoritari, basati su una politica di stampo poliziesco, ed erano riusciti a insediarsi senza alcuna protesta da parte della popolazione. Erano ormai pochi i luoghi dove vigeva la democrazia: i satelliti che fungevano da scali commerciali erano fra questi. Su uno dei satelliti, J 24, ci trovavamo appunto adesso a sorseggiare le nostre birre nel bar della compagnia di navigazione. Mi imbarcai quindi su una nave diretta ai vecchi docks londinesi, che sarebbe partita di lì a poco. Mi misi in fila insieme agli altri marinai e marittimi interstellari e, dopo non molto, ero già nella sala comandi della nave commerciale Ariella, pronto ad affiancare i nocchieri con le mie capacità di mediazione cerebrale della navigazione.
E partimmo: attraversammo nebulose e striature di luce, oscuri siti galattici dove risuonavano gli echi di passati remoti e immemori, altalenanti nella luce di ere. Cristalli di tempo risuonarono sulle fiancate dell’astronave e il loro stridio pareva la voce di tetre carene stellari. Giungemmo infine in vista della Terra, ormai completamente avvolta da una nebulosa di gas acidi e soffocanti. Le società più evolute, come quella cinese e africana, erano riuscite a limitare le emissioni di gas inquinante, ricreando un ambiente prospero e quasi genuino. L’Europa, invece, era fra i luoghi più inquinati, sommersa da gas acidi e in putrefazione e gli abitanti di città e paesi dovevano muoversi indossando perennemente una maschera di ossigeno. L’Ariella discese lentamente sui vecchi docks del porto (ormai utilizzato esclusivamente per le navi spaziali) fino ad appollaiarsi nelle putride acque del Tamigi. I giganteschi boccaporti della nave si aprirono e cominciarono a scaricare le merci interplanetarie. Io mi avviai all’uscita insieme ai marinai. La nostra sosta non sarebbe stata lunga. Ci era stato infatti raccomandato di non fare troppo tardi perché saremmo ripartiti quella sera stessa, a mezzanotte. Tanto più che alle dieci di sera scattava il coprifuoco e quindi dovevo rientrare a bordo per quell’ora.
Erano le cinque del pomeriggio e sulla parte vecchia della città, dove c’erano palazzi che avevano centinaia di anni, stava già calando il buio. C’era nebbia, ma non come me l’aveva descritta Jack. Riuscivo a vedere abbastanza bene la strada nella quale mi ero incamminato, che dal porto conduceva nel cuore stesso della vecchia City, ormai costellata di edifici in rovina. C’erano ancora i muri divisori che il re aveva fatto costruire per contrastare l’epidemia marziana, entro i quali era stata costretta una gran parte della popolazione. Dovevo fare in fretta a cercare la principessa Leila, perché chi veniva trovato in giro dopo il coprifuoco veniva brutalmente aggredito dalle guardie fino, in alcuni casi, a essere ucciso. Per la strada echeggiavano canti, nenie cantilenanti che parevano profezie di malvagi silenzi, di sventure turpi che ancora dovevano ferire i luoghi terrestri.
Avevo un indirizzo, che mi aveva fornito un profugo di MAD 19: lì, forse, avrei potuto trovare Leila. Mi incamminai. Feci sosta in un vecchio pub per chiedere informazioni sulla strada dove avrei dovuto recarmi. Mi sedetti a un tavolo e chiesi una birra scura. Chiesi all’oste ma non aveva mai sentito nominare il nome della strada, Regent Street. Subito mi si avvicinò un uomo elegante, che fumava una lunga pipa con bocchino in ebanite. Mi disse di seguirlo attraverso i vicoli del porto. Giungemmo alla fine in una strada scarsamente illuminata, piena di vecchi locali in disuso. Mi fece entrare in uno di questi e scendemmo delle scale, fino a uno scantinato poco illuminato. Era una stanza tappezzata di tendaggi rossi e, sopra un grande tappeto di pregiata e antica fattura orientale, di secoli fa, era seduta una bellissima donna che non tardai a riconoscere come Leila. Ma aveva uno sguardo cattivo, ormai irrimediabilmente mutato da quello della fanciulla che conoscevo. Lo sconosciuto che mi condusse fin lì mi si avvicino sempre di più e si presentò: “Piacere, sono il Re Peste e lei è la regina Pestifera I, la mia sposa. Il nostro compito è portare la pestilenza nelle coscienze dei cittadini”. Ahimè, dove ero capitato! E come era cambiata la dolcissima Leila! Subito i due mi si avventarono addosso per catturarmi ma io, con un movimento velocissimo, mi divincolai e riuscii velocemente a scappare in strada. Correndo a più non posso, finalmente, mi trassi in salvo. Allora Gilbert aveva ragione, Re Peste esisteva davvero, mentre il mio amore per Leila non esisteva più!
Dopo aver seminato i miei inseguitori mi fermai in un locale a ubriacarmi, per dimenticare la mia brutta avventura e il mio amore perduto. Dopo aver bevuto tre o quattro pinte di birra, mi ricordai che ero a Londra, in Europa, nel crudele regno di Dragone II e che lì vigeva il coprifuoco a oltranza. Guardai l’ora: erano già le dieci e mezzo di sera. Il coprifuoco era già scattato! Mi invase un profondo terrore, sarei stato catturato e forse ucciso dalle guardie preposte al controllo. Nel locale non c’era più nessuno. Pagai in fretta e me ne andai: si era alzata una nebbia fittissima, proprio da tagliare con il coltello, come aveva detto Jack. Per le strade non c’era nessuno ma, forse, non tutto era perduto, grazie alla nebbia non sarei stato visto dalla terribile polizia. E, proprio grazie alla nebbia, mentre tutti erano in casa, appestati perennemente nelle loro coscienze, io ero fuori e mi salvai. Non ho incontrato proprio nessuno: chissà, mi chiesi, se le guardie esistevano davvero oppure no…dubbio che rimase senza risposta. Raggiunsi l’Ariella e, a mezzanotte in punto, partii per nuove soglie stellari. La mia mente, liberata da qualsiasi forma di peste terrestre, guidava la nave verso i sicuri lidi di J 24.

Edmond Dantès

One thought on “Coprifuoco nella nebbia

Rispondi a Rodolfo Macak Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *