L’altra faccia della paura

Una narrazione quasi personale.

Il piccolo voleva nascere, entrare anche lui nel mondo reale, uscire dal caldo abbraccio della placenta materna. Nascere.
La mamma aveva avvertito le prime contrazioni, le acque si stavano per rompere – come si dice in gergo.
Alla notizia, ho sentito una emozione indescrivibile, ho pianto.
Nella stessa casa, 35 anni prima, ho avuto lo stesso avvertimento, nella stessa stanza…allora stava per nascere il mio secondo figlio.
Questo primo nipote è nato tre giorni dopo, all’ospedale di Cecina il giorno 11 marzo 2020. Gioia immensa, ma paura di non poterlo abbracciare, almeno per il momento. Così è stato.
Questa data, per la mia famiglia, è diventata molto importante, mentre per la nostra realtà, per tutto il mondo, è una data che ci ha avvolti in un cerchio infernale, dentro la PAURA.
Paura innescata dall’allerta, dai media, dai giornali, dalle immagini di bare…di intubazioni…di sofferenze estreme…di morte!

Voglio soffermarmi ancora su questa parola, su queste cinque lettere: PAURA.
Avevamo tutti paura, eravamo increduli, cercavamo di comprendere…impossibile, non avevamo gli strumenti per programmare il futuro più immediato, i giorni a venire…
Immaginavamo e/o vedevamo il virus, allora chiamato corona, dappertutto.
Sulle maniglie delle porte, sulle panchine, sulle mani delle persone, sul cibo del supermercato, su tutto e dappertutto, e per difenderci da questo nuovo mostro ci hanno obbligati all’utilizzo dei guanti, dei disinfettanti, del contingentamento agli accessi pubblici.
Le mascherine no, al primo momento no, non erano d’obbligo, non era possibile recuperarle in così grossa quantità, le persone che le trovavano le pagavano cifre esose.
Con la paura ci hanno rinchiusi.
La primavera e gli asparagi selvatici erano un binomio impossibile da raggiungere, da vivere.
Chi li raccoglieva, oppure osava trasgredire le regole imposte da questo regime ,veniva multato in modo esponenziale.
Il reato?
“raccogliere asparagi in aperta campagna, correre soli sulla spiaggia, distendersi tra gli scogli, portare il bimbo a giro, sedersi su una panchina, camminare tra i boschi…”
Fantascienza. Non avremmo mai immaginato che l’umanità potesse vivere uno scenario così apocalittico.
La mia reazione?
Ho tentato di isolarmi mentalmente dalle notizie più feroci fornite dai media, ma inizialmente non ce la facevo. Misuravo la pressione arteriosa, si sa che sale con il salire della paura, perciò era troppo alta. Come potevo difendermi?
Ho deciso di continuare, come potevo, la mia vita, di pensare positivo, di uscire a camminare, soprattutto nella nostra terra di Paltratico, sulle colline sopra il Gabbro.
Dopo 15 giorni in cui ero “reclusa”, ho avvertito il mio ritorno in campagna come un atterraggio in un pianeta nuovo, che profumava di fiori, di piante, di abbaiare, di coccodè, di miagolii, di nitriti, e pure di asparagi selvatici!
Ho intensificato anche il mio consumo di rimedi omeopatici, soprattutto il macerato glicerico di biancospino. Ancora fiori sul mio cammino…
Questa, in sintesi, è una faccia della paura.
È la faccia più tangibile, logica, in un certo senso più comprensibile.
Quella che in un modo o nell’altro abbiamo tutti, è quella paura che ha un suo motivo portante, che si chiama Covid.
E l’altra faccia qual è? Non ci basta questa?
No, non ci basta assolutamente, perché l’altra paura è innescata dalla prima, in un processo quasi inevitabile. Riconducibile, irreversibile…
Non per tutti, ovviamente.
È la paura dell’altro, di chi potrebbe trasferirci il virus, di chi non indossa o indossa male la mascherina, di chi non è distanziato a sufficienza…
La paura che mi sembra più paradossale è proprio questa.
Quando ti insultano: “stupidella”…perché ti avvicini troppo, in bici, ovviamente…e ancora “signora, lei non mette la mascherina?…”
Insulti ricevuti spesso, mentre ero in bici, che è un mezzo con il quale è consentito viaggiare senza la mascherina. Autorizzato dal regolamento.
A piedi, pur attenti alle regole, ti guardano dubbiosi, si distanziano…senti prepotente il disagio che crei all’altro e, come un circolo vizioso, ti arriva dentro, dentro il tuo essere.
Il nemico è l’altro.
Ti hanno pure autorizzato a spiare, a denunciare, a decidere se e come l’altro non è “in regola”.
Questa è la paura della quale ho più paura.
Di vedere l’umanità intristita, rinchiusa, nemica, dentro quel pezzetto di stoffa che non fa respirare, ma sicura perché, forse, pensa di tenere lontano il contagio.
La mia non è contestazione a “quel pezzetto di stoffa”, ma le conseguenze, spero non irreparabili, nella quale è condotta l’esistenza umana. E la sua salute fisica e mentale.
La non socialità, il non ritrovarsi a teatro, al ristorante, al cinema, in palestra, a sciare, ai concerti…ci salverà dal virus?
E le nuove generazioni, i giovani, i bimbi, soprattutto quelli in età scolare, cosa subiscono e subiranno dalla mancanza di socialità?
Purtroppo non è stato attivato un piano di studi con i cittadini stessi per allestire un programma condiviso. Nessuna partecipazione, solo negazioni. Imposizioni da decreti.
E non si intravede una via d’uscita.
Perché? Fino a quando?
Non voglio fornire soluzioni a questa domanda, né tantomeno, non convinta dell’immunità di gregge, aggregarmi ai “convinti-vaccinanti”.
La risposta la lascio sospesa, la passo di mano.
Nel frattempo, tento di non farmi contagiare dalla paura, ritorno alla terra, che profuma ancora di primavera, di mimosa, e torno a cogliere asparagi selvatici…
Quest’anno con il piccolino.

Salute a tutti e tutte,

Renata Fontanella

One thought on “L’altra faccia della paura

  1. Cara Renata,
    come sempre sai toccare i sentimenti con delicatezza ed intensità. E come sempre riesci a dire quelle verità scomode che i più preferiscono tacere e, peggio, non vedere.
    Sei una donna coraggiosa e dolce e questo lo so per esperienza avendo combattuto con te la “nostra” battaglia contro il rigassificatore di Pisa-Livorno.
    Una battaglia persa, è vero, ma che non ci ha tolto per niente la voglia di continuare a lottare in nome della giustizia, della libertà dai soprusi e dagli stereotipi ed in nome del diritto di ognuno di noi alla felicità che non esiste senza uno stato di benessere psico-fisico. Io ci sono e ci sarò sempre al fianco di persone come te! Auguri a te ed a tutta la tua famiglia che leggo aumentata di un nipotino…hai tante belle cose da insegnargli, da fargli vedere e soprattutto annusare…a pieni polmoni, libero da bavagli di qualsiasi natura. Ti voglio un gran bene, Beatrice (Pisa)

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